giovedì 24 giugno 2010

Storica pazzia

Non sono bastate dieci ore perché terminasse il più lungo match della storia del tennis tra l'americano John Isner e il francese Nicolas Mahut.

Alle dieci e dodici della sera, l'arbitro Layani e il direttore di torneo Friemel sono stati costretti ad interrompere per l'oscurità una partita in cui i due attori, estenuati, non erano riusciti a svincolarsi da una incredibile parità di 59 games nel quinto set, nonostante quattro match point in favore dell'americano. I due riprenderanno, in caso di sopravvivenza, domani, sul punteggio di 4-6, 6-3, 7-6, 6-7 e 59 pari, un totale di 163 games.

Simile vicenda ha battuto un precedente primato wimbledoniano del 1969, quando il grande Pancho Gonzales aveva sconfitto il giovane Charlie Pasarell, americano nato in Portorico, in una partitona di due giorni, di 112 games, durata cinque ore e dodici minuti, terminata 22-24, 1-6, 16-14, 6-3, 11-9: salvando, di passaggio, sette match point, dei quali due da 0-40. Mentre, nel resto del mondo, eravamo tutti stregati dalle sei ore e trentatrè, e dal 6-4, 6-3, 6-7, 3-6, 6-4 (solo 51 games) durante il quale il vincitore francese, Santoro, aveva trattenuto su un campo del Roland Garros il suo concittadino Clement.

Per quanto mi riguarda, non avevo creduto sino ad oggi alla affermazione di Andy Warhol , il quale nel 1968 - guarda caso, il primo anno del professionismo tennistico - affermò che ad ogni essere umano sarebbe toccato un quarto d'ora di notorietà. E' infatti avvenuto che, insieme a un dirupato cronista britannico e al mio collega Hall of Famer Bud Collins, io fossi il solo sopravvissuto ad aver assistito a quella storica partita. La coincidenza ha fatto sì che, privo del mio articolo di allora, fossi costretto a ricordare pubblicamente un match che avevo quasi del tutto dimenticato. Eccettuata forse la sua mediocre qualità, l'incapacità di Pasarell di fronte alla personalità di Gonzales, uno che ebbe a definirsi "il più forte tennista di tutti i tempi, se non fosse esistito un Lewis Hoad in gran giornata". Bontà sua.

L'incontro odierno è stato, tecnicamente, ancora più modesto, tra un americano che già tendeva al record causa la statura, due metri e sei centimetri, la più alta nella storia del gioco. A nome John Isner, sfuggito al basket ma non a una laurea in economia nell'università della Georgia. Evidentemente noto per la sua battuta, Isner, n. 19 del mondo, contava certamente di venire a capo con minor fatica del francese Nicolas Mahut, un ex ragazzo prodigio, vincitore di Wimbledon Junior dieci anni fa, e poi smarritosi, sino a scivolare all'attuale n. 148, ed essere costretto a qualificarsi. Ma il talento sciupato doveva aver lasciato qualche briciola nel francese, meno imponente di Isner col suo metro e novanta, e tuttavia in grado di tenere botta, e addirittura rifiutarsi, alla fine, di lasciare il campo.

Paradossalmente un risultato come quello odierno è giunto quarantacinque anni dopo la nascita del tie-break, il sistema inventato dal mio povero amico Jimmy Van Alen onde abbreviare partite interminabili, soprattutto sull'erba, la superficie sulla quale, in quei tempi, si giocavano tutti gli Slam eccettuato il Roland Garros. Il VASSS, e cioè Val Alen Simplified Scoring System, fu adottato nel '65 per il torneo di Newport, e poi applicato nello US Open, anche per il quinto set. Gli altri Slam, e cioè Australia, Francia e Wimbledon, continuarono invece ad evitarne l'attuazione nel set finale, favorendo quindi un risultato apocalittico come quello odierno.

Un risultato che resterà negli annali, così come quello tra Gonzales e Pasarell, nonostante la mediocrità della partita. Ma spesso la storia è noiosa.
 
di Gianni Clerici; la Repubblica

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