mercoledì 30 giugno 2010

El Guaje

Se Messi vuole la corona che gli ha promesso Maradona dovrà toglierla dalla testa di David Villa, da ieri padrone del Mondiale. Quattro gol, uno più pesante dell’altro. Ha tirato fuori la Spagna da un girone dove stava per sprofondare dopo la batosta al debutto con la Svizzera, l’ha qualificata con la rete contro il Cile e ora la porta ai quarti. Non da solo, ma quasi. «Siamo tornati? Non ci siamo mai persi, la fiducia non è mai mancata». La Spagna del gruppo che trascina e disorienta non c’è più, non è la Roja che ha vinto gli Europei, veloce, compatta e imprevedibile, è la squadra di un bambino cresciuto. Il Guaje (bimbo in asturiano appunto) è pronto fare la differenza perché non solo segna, scardina. Ha fregato anche Eduardo, portiere del Portogallo che non aveva ancora preso un gol in questo torneo e che in totale ne ha incassati solo tre da quando Queiroz lo ha scelto come titolare. Villa ha iniziato a tirare al quinto minuto e non ha mai smesso, anche nell’azione del vantaggio ha insistito fino a che la palla non è entrata.

Era in fuorigioco ma stavolta non sarà la moviola a lasciare il segno, l’eroe è ancora lui, «Villamaravilla» anche se non gli piace essere chiamato così. È ossessivo, ostinato e rognosissimo perché non solo prova da ogni angolo ma non molla mai un’azione, crede ai miracoli e sente di essere arrivato qui al suo meglio. Ne era tanto certo che ha obbligato il Barcellona a fare in fretta, a chiudere il suo contratto prima di partire perché «non potevo stare in bilico e rischiare distrazioni». A 28 anni, ti capita l’ingaggio della vita (40 milioni più premi) nella squadra che hai sempre sognato («non esiste un altro posto dove sarei voluto andare») e l’uomo chiamato bambino è così maturo da dettare il tempo. Proprio come fa in campo. Quattro gol come i quattro che ha segnato all’Europeo vinto nel 2008 con il titolo di miglior realizzatore (giusto ieri, due anni fa). Allora era uno del gruppo.

Adesso è la faccia della Spagna. Testa piena di gel, passione per i giubbotti di pelle e per il pizzetto e una timidezza cacciata indietro a forza di risultati. Al Valencia dicono che parlava poco, che era uno noioso, abitudinario, IPod nelle orecchie e poca vita sociale. Qui però ci è arrivato diverso, spavaldo e dopo la sconfitta con la Svizzera ha avuto coraggio: «Garantisco, questa è la miglior Spagna di sempre». Era quello che serviva, uno scossone o un atto di fede. Poteva sembrare un pazzo, ma con questa fiducia ha svegliato l’ambiente. 42 reti in nazionale, gliene mancano solo due per raggiungere Raul. «Le voglio fare tutte qui», ha detto ieri sera dopo aver distribuito complimenti ai compagni rimasti sul campo a festeggiare. Per motivarsi ascolta la musica, «come Bolt ma non mi piace il rap, solo pop spagnolo anni e Ottanta e Novanta».

Perché l’attaccante del momento non è proprio un raffinato e in Spagna lo prendono un po’ in giro per lo stile da Dan Arrow. Nella moda è un reduce, gli piacciono gli stivaloni, le frange, i jeans strappati e non importa se la movida spagnola esporta modelli più raffinati. È fermo a un poster di 20 anni fa e se ne vanta. Quelli all’ultimo grido, alla Cristiano Ronaldo, tanto elegante da essere uomo immagine per Armani, non gli sono mai piaciuti. Ha preparato questa Coppa del Mondo con attenzione maniacale e il solo dettaglio che lo sorprende è di fare ombra a Messi, suo futuro compagno al Barça, predestinato, idolo e arrivato in Sudafrica per essere consacrato erede di Maradona. Al momento non ha mai segnato e contro il Messico si è perso dopo un tempo. Villa invece c’è sempre, Xavi dice che «ha il gol nella testa» e che «ricorda Stoichkov, uno che era sempre sicuro che esistesse una strada per fregare le difese».

Villa è diventato un leader senza bisogno di parole perché non è uno da grandi discorsi, non è il tipo da frasi decisive, convince perché è costante, presente. Del Bosque sostiene che «solo chi è cresciuto sempre, a ogni partita della sua vita, può mostrare tanta determinazione. Ci sono i talenti e poi ci sono quelli bravi che migliorano perché lo vogliono, come David».

di Giulia Zonca; LA STAMPA

Nessun commento:

Posta un commento