sabato 19 giugno 2010

Rivalité

I francesi sono italiani di cattivo umore»: lo diceva Jean Cocteau, poeta, romanziere e drammaturgo (francese). La traccia porta al sommo godimento che gli italiani provano quando «lormessieurs» ci lasciano le penne. Come giovedì sera, in un posto sperduto del Sudafrica. Loro e noi, un derby infinito, che Paolo Conte ha cantato in onore di Bartali, una rivalità che esula dal mero commercio sportivo e abbraccia cinema, letteratura, cibo.

A noi il Mondiale 2006 sul campo, a loro l’Europeo 2016 a tavolino. Proprio per questo non dovremmo essere tanto ossessivi e ossessionati dal fatto che abbiano inventato tutto, dall’Olimpiade in giù. Noi abbiamo bisogno fisico e storico di un nemico già nella culla, figuriamoci appena mettiamo il naso fuori. La Francia è un regalo della geografia, così vicina e comoda, così gonfia di sé, al contrario di noi, attendisti e versatili (nelle guerre, anche troppo). Questione d’accento, che noi abbiamo e loro mettono. Fra Carla e Carlà non c’è di mezzo solo l’Eliseo, c’è Ventimiglia. Hanno fatto la rivoluzione e poi hanno avuto Napoleone; ce lo fanno pesare, sempre. Ecco allora che l’italiano, appena può, passa alla cassa. Di sicuro, la superbia di Raymond Domenech ha contribuito a tenerci svegli e vigili attorno al loro tempio, pronti a celebrare i mercanti capaci di profanarlo (sono stati i messicani? per dirla con Henry, qua la mano). «Les imposteurs», titolava L’Equipe. Gli impostori. E mica si riferiva a noi. Il massimo.

di Roberto Beccantini; LA STAMPA

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