Diciassette giugno 1970. Italia-Germania quattro a tre. La madre di tutte le partite. Mondiali messicani, semifinale. Da Boninsegna a Schnellinger, poi i supplementari, una mitragliata di gol - Muller, Burgnich, Riva, ancora Muller - fino al piatto destro di Gianni Rivera. Sono passati quarant’anni e ce la portiamo nel cuore, sempre. Tutta una parola: italiagermaniaquattroatre. È diventata un film, una mostra, romanzi, piéce teatrali, dibatti, seminari, tavole rotonde; ha accompagnato la riscossa del Paese non solo in campo sportivo. Vero, nel ’68 ci eravamo laureati campioni d’Europa, ma in casa, con l’aiuto di una moneta (per battere l’Unione Sovietica) e dopo aver ripetuto la finale (con la Jugoslavia). Due anni prima, c’era stata la «tragedia» di Middlesbrough, ai Mondiali inglesi, Corea del Nord uno Italia zero.
Gli stranieri, e non solo i tedeschi, capirono di che pasta eravamo fatti. Fu una sorta di partita simbolo, a cominciare dalla staffetta fra Mazzola e Rivera, il compromesso pratico in leggero anticipo su quello, storico, di Enrico Berlinguer. Commissario tecnico, Ferruccio Valcareggi. Tutore, Walter Mandelli. Quante polemiche, già allora, e quanti veleni. L’avremmo poi pagata in finale, contro il Brasile, e il ritorno a casa, per questo, fu una caccia agli spacciatori della grande illusione. Siamo fatti così. Il tempo, galantuomo, avrebbe ristabilito le giuste proporzioni e i legittimi meriti.
Resta il ricordo dell’impresa, resiste e persiste il profumo della volta che fu soprattutto una svolta. Neppure il 3-1 del Bernabeu, che pure l’11 luglio del 1982 ci avrebbe dato il titolo mondiale, sempre contro i tedeschi, ha cancellato, o semplicemente attenuato, il valore di quella straordinaria altalena, la scenografia di quel prestigioso scalpo. Gli italianuzzi capaci di battere l’opulenta Germania con le armi della fedeltà e della resistenza: in pratica, le sue.
Allo stadio Azteca c’è una targa che aiuta ad allenare la memoria. Per molti, fu la partita del secolo. Italia-Germania 4-3. Ancora oggi, mi vengono i brividi.
di Roberto Beccantini; LA STAMPA
di Roberto Beccantini; LA STAMPA
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