Il discorso dal paradiso (Giro 2006 vinto), all'inferno (squalifica di due anni per coinvolgimento nella vicenda doping dell'Operacion Puerton spagnola), poi di nuovo al paradiso: la vittoria al Giro, quattro anni dopo, non gli va proprio giù. Se chiedi a Ivan Basso di precisare anche semplicemente umori e sensazioni a proposito di questa storia ottieni solo un'unica risposta: "Ora non serve a nulla pensare al passato. Alle difficoltà e ai problemi. Ora c'è questo Giro, questa vittoria. Era quello che avevo in testa fin da principio, quello che volevo e ovviamente ora la soddisfazione è enorme".
Neppure se lo si mette sulla graticola della logica Ivan recede di un passo. Ha vinto un Giro circondato dai sospetti, poi divenuti certezza; ora rivince quattro anni dopo, con prestazioni più convincenti. Più a dimensione d'uomo. Un fatto importante nel bistrattato ciclismo di oggi, sempre nel vortice dei dubbi e dei sospetti se non peggio.
Vincere un Giro a dimensione d'uomo vuol dire anche che è possibile fare del ciclismo ad alto livello nel limite delle prestazioni che rientrano nelle regole della tradizionale fisiologia. Un messaggio importante sul piano della credibilità generale, di tutti. Ma a Ivan adesso non interessano speculazioni di questo tipo. "Io penso a me stesso". Ripete che lui ha fatto tutto alla luce del sole, che i suoi test ematici sono su internet e ciascuno li può consultare; che tutti possono verificare qualità e quantità dei suoi allenamenti registrati con il rilevatore di potenza (SRM) lungo tutta la stagione e trarre le debite conclusioni. Allenamenti che ad un'analisi specifica dicono di un grandissimo lavoro, come volume e soprattutto come intensità. Quasi da fachiro. Perché la fatica nel ciclismo si esorcizza con la fatica e se non hai imparato a vivere con il dolore nelle gambe quando il fisico è chiamato allo sforzo massimale, non vai avanti. Ivan il fachiro questo lo sa bene.
E lo sa bene anche un altro personaggio del ciclismo mondiale, quell'Aldo Sassi, timoniere del centro Mapei di Castellanza, che lo ha raccolto quando era un reietto, squalificato e in fondo al baratro della credibilità e lo ha trasformato di nuovo in un atleta con la grinta e la voglia di tornare ai vertici. Salite all'asfissia, lunghe sessioni dietro motore a 60 all'ora, ginnastica posturale (il giusto), uscite in bici anche di nove ore, terapie per il recupero. Così il varesino ha ricostruito la sua identità. Con una costanza da certosino. "Ivan aveva un talento - spiega Sassi - che non poteva essere disperso". Vero. La vittoria al Giro è anche la vittoria di Sassi; anche se quest'anno Ivan ha voluto scantonare leggermente dalla rigida metodologia del tecnico lombardo, svicolando in parte dal suo ferreo credo. "Mi mancava il cambio di ritmo - spiega la maglia rosa, ricordando i limiti della scorsa stagione, dove pure aveva concluso al quinto posto il Giro e al quarto la Vuelta - e ho lavorato per migliorare questo particolare". Ecco: la cura del particolare è l'ossessione vincente del varesino; capace di lavorare ore per mettere a punto l'altezza della sella: un millimetro più su o più giù. Capace nel più freddo gennaio di pedalare per ore su è giù per il suo "amato" Cuvignone, la montagna a due passi da casa, Cassano Magnago, e rientrare congelato al punto da dover ricorrere alla sauna per "scongelare" le membra. Sono durezze difficilmente replicabili in altri sport. Che dicono della feroce determinazione della maglia rosa. Che in tempi non sospetti spiegava all'intervistatore: "Perché ricorrere a Fuentes e compagnia pur avendo le qualità per fare un ciclismo da protagonista? Perché in quell'ambiente non eri mai sicuro che il giorno del confronto qualcuno, meno forte e bravo di te, avesse fatto ricorso a pratiche o prodotti tali da consentirgli di metterti la ruota davanti". La paura madre degli errori e una devastante mentalità comune, purtroppo ancora diffusa. Ora tutto questo per Ivan è passato remoto.
Basso dimostra che si può vincere un Giro all'interno di parametri più umani. Il che non vuol dire che il ciclismo si sia finalmente liberato della "scimma" del doping. Perché - ovviamente prescindendo dal caso particolare - ci può stare anche che, pur rientrando nei limiti "umani", ci sia qualcuno che cerchi l'eterno "aiutino". Certe mentalità sono difficili da estirpare e certi personaggi discutibili sono ancora all'interno del movimento, su ammiraglie o nell'ambiente. Una strada ancora in salita: un Mortirolo. Che si puà domare, però, come ha fatto Basso.
di Eugenio Capodacqua; la Repubblica
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