sabato 3 luglio 2010

Wesley

L'hanno educato per una vita da mediano, se l'è conquistata da trequartista. L'hanno ribattezzato Whisky Sneijder perché non potendo giocare beveva, oggi stappa champagne alla faccia loro. L'hanno venduto per fare spazio a Kakà e adesso guardali sul prato, vedi un po' dei due chi è quello che ride ultimo, felice e meritevole. Wesley Sneijder, se giochi a calcio è uno che vorresti avere accanto, sempre. Probabilmente Platini arriccerebbe il naso: "Non è un dieci, ma un nove e mezzo". Monsieur, questo è un dieci e mezzo: corre e ragiona, passa e tira, ha giocato incontrista, ala, interno e oggi fa semplicemente l'uomo squadra. Quello che ha mandato a casa il Brasile, non da solo, ma quasi.

Per spiegare chi è Sneijder e arrivare alla partita di ieri vorrei partire da un altro punto nel tempo, dal quale è possibile tirare una linea retta fino al quarto di finale sudafricano. Non vado neppure troppo lontano: al 16 agosto dell'anno scorso. È una sera calda in Spagna. Tutto il Paese è percorso da una brezza di leggera follia. A Barcellona hanno comprato Ibrahimovic dando Eto'o e 50 milioni di euro. A Madrid pensano come eguagliare il colpo di genio. Già hanno preso quel che resta di Kakà, il magnifico giocatore che i medici da due anni consigliano al Milan di dar via, per 68 milioni. A questo punto, decidono: svendiamo Sneijder: a che serve? Glielo dicono. Le parole sono più o meno queste, Florentino Perez signore lo nacque. Wesley ci resta male, vorrebbe restare, ama Madrid, gli piacciono i locali dove tira tardi la notte perché non ha una partita da aspettare. Prova a resistere, ma il Real, che l'ha pagato 27 milioni all'Ajax nel 2007, lo ha già promesso all'Inter per 16. Praticamente, lui e 52 milioni per Kakà. Sono riusciti a battere il Barcellona, complimenti. Sneijder prepara le valigie, ma lo chiamano per l'ultima partita. Potrebbe mandarli dove meritano, invece va in campo. C'è una punizione da tirare. Ci pensa lui. Segna. Come Liam Brady nell'ultima recita con la Juve: rigore al Catanzaro e scudetto. Anche lui, un dieci e qualcosa. Quelli senza spocchia né sregolatezza, quelli che non bestemmiano e non pregano, giocano. Da quando li mettono in campo a quando è finita. Infatti Sneijder arriva a Milano, non disfa neppure le valigie, debutta nel derby con il Milan e si capisce che oltre le chiavi di casa gli hanno dato quelle della squadra. Lui le infila nella serratura e apre la porta al migliore dei futuri possibili.

Questa serie di articoli si chiama "L'uomo del giorno", ma fin da ora Wesley è "L'uomo dell'anno". Perché è stato il cervello in campo della formidabile stagione interista ed è mente e braccio di quest'Olanda che veleggia verso la finale di tutte le vendette. Dove non è riuscito Cruyff, sta a vedere che riesce questo. Impossibile? Sneijder è alto 1,70 e ieri l'ha messa dentro di testa in mezzo a una difesa che schierava colossi come Lucio e Maicon: il gigante era lui. Siamo a cinque partite nel mondiale e ha già segnato tre gol. È il miglior marcatore dell'Olanda, ma sarebbe insufficiente valutarlo per questo. È il consigliere personale dell'allenatore. È quello che ha messo in riga il capriccioso Van Persie, indispettito per la sostituzione contro la Slovacchia. Ehi, numero 9 (8 e mezzo sarebbe troppo bello per te) quanti gol hai fatto tu? È l'anima del collettivo, quello che digrigna i denti quando gli altri mollano la presa. Riguardatevi l'assurda partita di ieri. Il Brasile domina, l'Olanda svalvola, c'è un uomo che guarda i compagni stringendo i pugni a dire: possiamo farcela. Ha la maglia numero 10. Non crede nel Signore di tutti i destini, come Kakà. Crede nei piedi, nell'umana fortuna, nelle bizze del caso. Stravolge il corso degli eventi con un episodio. Butta in mezzo una palla e vai a credere che (non dico Felipe Melo, ma) Julio Cesar inventa una fesseria. Quel che succede dopo è che Sneijder corre verso la telecamera, ci sbatte la mano contro, esaltato oltre la misura delle cose. Il punto è, padroni di non crederci, che lui ha capito: si è aperta una crepa, diventerà una falla. Il Brasile è una squadra afflitta dall'ignoranza del dolore. Sono tutti ragazzi spensierati. Numeri incompleti, ma per difetto. Il nove e mezzo è Kakà. Felipe Melo: uno 0,5.

Sneijder prende per mano i suoi e spiega loro che, se non un altro mondo, un altro mondiale è possibile. Uno senza più il Brasile, d'incanto. Dove la parte di Robinho la fa un sontuoso Kuyt e quella di Julio Cesar il sempre più encomiabile Stekelenburg. E dove il fantasista (ma anche la diga, l'uomo gol e un po' l'allenatore) lo fa lui. Non so quante volte gli olandesi abbiano provato lo schema del calcio d'angolo: batte Robben, la alza Kuyt, la schiaccia Sneijder. Forse tante per eseguirlo così, forse mai perché era una pazzia. Magari non doveva essere lui, così diversamente alto, il terminale dell'azione. Ma è il suo momento, il suo giorno, il suo anno: tutti i passaggi portano a Wesley. Dopo, sai già come va a finire.

di Gabriele Romagnoli; la Repubblica

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