Iker Casillas ha sollevato la Coppa, la Spagna ha riempito il buco della propria storia e il calcio si chiede se siamo davanti al trionfo di una generazione o di un’idea. Qualunque successo ha alla base un gruppo di buoni giocatori con alcuni fuoriclasse e richiede che le loro qualità si esprimano al massimo nel periodo in cui si realizza l’evento.
L’Italia di quattro anni fa aveva pochi fenomeni veri, meno del Brasile, ad esempio, ma ottenne da tutti un rendimento straordinario nel mese decisivo: così andò oltre le attese. La dimostrazione è che quando quella generazione si è appannata ed è tornata nella normalità lo stesso metodo seguito da Lippi nel 2006 si è rivelato un fallimento. Nel caso della Spagna la vittoria suona meno casuale. Dietro ai giocatori c’è lo stile che ha fatto del Barcellona una delle squadre migliori dell’ultimo decennio. Dal successo di Vienna nel 2008 gli spagnoli erano tra i favoriti in Sudafrica perchè non c’era un motivo per cui il blocco di un club fortissimo non raccogliesse i frutti anche in Nazionale. Del Bosque ha rispettato la prima regola di un allenatore: non fare danni. Come Bearzot con il gruppo juventino del ’78 e dell’82, non ha cercato formule strane, non si è inventato trasformazioni dell’ultimo momento.
I suoi uomini hanno svolto i compiti cui sono abituati da sempre, l’ordito del Barça si è impreziosito là dove serviva (Casillas, Sergio Ramos, Villa, Xabi Alonso, Capdevila) e non ne è stato stravolto. Lippi sosteneva fino alla nausea che ogni giocatore italiano ha due squadre: il proprio club e la Nazionale. La forza degli spagnoli è stata che per molti di loro le due squadre coincidessero e che per gli altri fosse facile inserirsi in una macchina che gioca a memoria, con la fiducia nei propri mezzi.
Certamente nel successo della Spagna c’è anche la qualità degli uomini. Ma come si spiega che dalla generazione che vinse il Mondiale Under 20 nel ’99 si sia passati a quella di Iniesta e Torres, fino ai più giovani Busquets e Pedro senza che si noti una frattura? E’ come se fossero passati tutti dalla stessa scuola in cui si insegnano ai giovani la tecnica, il palleggio, lo sviluppo dell’azione. Il successo della Spagna benedice quindi il ritorno a un football in cui l’aspetto atletico e l’esasperazione della tattica non sono tutto. Torneranno anche per loro i giorni bui ma per ora a lezione ci vanno gli altri.
di Marco Ansaldo; LA STAMPA
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