martedì 24 maggio 2011

4-3-3 risate

Gli uomini della domenica se ne vanno. In Europa, in B o al mare. Qualcuno approfitta delle ferie per sposarsi, qualcun altro per divorziare e cambiare maglia. Tutti lasciano un ricordo. Questi 11 più degli altri. Sono stati selezionati con criterio più narrativo che tecnico. E ad esclusione di chi era già stato effigiato in questa pagina. Sono schierati con il 4-3-3 e indossano le maglie della storia del calcio, dall'1 all'11, passando per lo stopper e la mezzala.

1) MARCHETTI
Il portiere che non c'era. Dai Mondiali al nulla. Tutto per aver espresso un desiderio: mi piacerebbe andare alla Sampdoria. Che se poi si realizzava era peggio. Almeno ha l'alibi dell'assenza. E il pregio di aver dimostrato una cosa: nella lite tra un padrone e un lavoratore il popolo e i media stanno con il lavoratore, ammenoché sia un calciatore. In quel caso tra il milionario in porta e quello che lo mette alla porta (si chiami Cellino o Garrone) le simpatie vanno al secondo. E al secondo portiere.

2) NAGATOMO
Un cognome che profetizza disastri nucleari e al loro avverarsi suscita simpatia. La terza ragione per il turismo giapponese a Milano dopo lo shopping e l'aver sbagliato strada. Ma anche un giocatore vero, benché lo trattino da mascotte. Talvolta segna pure. Ancor più straordinario: ha vinto una coppa continentale benché allenato da Zaccheroni. Che ha detto: mi capiva a gesti. A Torino, i giocatori italiani, manco a parole.

3) ARMERO
Ogni tanto partiva un treno. Da Udine. Per la fine del mondo o del campo. L'armata di Guidolin è stata prima Brancaleone, poi Invincibile. Più spesso, Armero. Dicono: i gol di Di Natale, le volate di Sanchez, Isla e Inler. Ma nessuno correva come questo, pareva Maicon quando era Maicon. Un colombiano che conosce un solo cartello: quello che indica la porta avversaria. E lo segue. Poiché uno dell'Udinese tra questi 11 ci voleva, entra lui. Poi stramazza.
4) LEGROTTAGLIE
Ha detto Vasco Rossi in una memorabile intervista: o Dio non c'è o è cattivo. Legrottaglie crede in Dio, ma evidentemente è vera la seconda che dice Vasco. La Juve non lo utilizza e lo vende al Milan, già avviato verso lo scudetto. Lui entra nel secondo tempo e dopo 38 minuti si rompe e non gioca più. Campione d'Italia, certo. Probabilmente lui riesce a vedere lo splendore in questo disegno della provvidenza e ringrazia. Amen.

5) LORIA
Qualcuno può pensare che in fondo non abbia fatto niente di speciale, ma il solo fatto che sia riapparso al centro della difesa di una squadra in lotta per la Champions ha invece qualcosa di eccezionale. E ancor di più lo è che la speranza sia stata riaperta da un suo gol (salvo richiudersi poco dopo per svarioni di marcatura). Ora che Mexes emigra, Di Benedetto potrebbe regalarci un sogno e pretendere Loria titolare. Trasformando l'Olimpico nel Colosseo, quanto a buchi.

6) BOATENG
Dalle lacrime con il Ghana al ballo di Jacko con il Milan. E' il giocatore più esplosivo dell'anno. E il mistero più glorioso del calciomercato. Preziosi lo ha prestato a Berlusconi. Perché il Cavaliere non poteva permetterselo? Perché tanto in quel ruolo aveva già fenomeni tipo Rafinha? Perché ha preferito farne senza, ma con plusvalenza? L'unica certezza è che questo, se ci sta con la testa oltreché con il fisico, non lo toglie più di squadra nessuno.

7) MACHEDA
Al primo gol con la maglia del Manchester United qualcuno chiese all'allora ct Lippi di convocarlo. Siamo un Paese così: o restiamo indietro o fuggiamo in avanti. E tutto quel che è lontano ci sembra brillante: come Macheda in Inghilterra. Poi ce lo mandano a domicilio ed ecco qua lo zircone. Va bene che se uno passa da Ferguson a Cavasin ha i suoi traumi, ma il campionato è finito e questo non si è ancora ripreso. Finisce per diventare un simbolo: dei rottamatori che poi, se li metti al volante, sbandano. E noi lì, al lato della carreggiata, impolverati, a contare i gol di Totti.

8) GIOVINCO
Più che un uomo un emblema. Un asterisco, suvvia. Una piccola metafora, di che? Del grande, incommensurabile spreco che ha saputo fare la Juventus. Che poi sia colpa della "dittatura" di Del Piero o dell'incapacità della dirigenza, che differenza fa? I Miccoli giocano e meravigliano altrove. A Parma è sbocciato perfino Amauri, quando già Giovinco metteva fiori dappertutto. Anche sulla lapide della Signora.

9) BOSELLI
Chi era costui? E' la domanda che seguirà se lo si nominasse tra un anno. Tranne che a Genova. Dove rimarrà memorabile. Un argentino qualunque arrivato a gennaio per sbaglio, già rotto, che entra nel finale di un derby già chiuso e al 97' segna e di fatto retrocede la Sampdoria. Generazioni di piccoli doriani cresceranno con la minaccia: buono o arriva Boselli. Generazioni di genoani invecchieranno addolciti dal ricordo di quel gol improbabile. Ogni altro miracolo sembrerà scontato.

10) PASTORE
Ora, uno a Zamparini può dire di tutto, lui non si offende più. Parla con il pappagallo, sfrutta la popolarità in maniera costruttiva edificando palazzi, fonda il partito del té e capeggia quello del me. Ma non si dica che non capisce di calcio. Dopo aver esonerato Delio Rossi (sconfitto 0 a 7 in casa) prende Cosmi. E lo caccia non appena tiene in panchina Pastore. Ecco, dicono che Zamparini sia matto, ma matto è chi non fa giocare Pastore. Punto. Di lui, riparliamo fra tre anni. Possibilmente da Barcellona.

11) GRANDOLFO
Dimenticate quanto avete letto su Macheda e l'assurdità delle illusioni precoci. Noi vogliamo innamorarci a prima vista. Andiamo allo stadio per poter dire: quel giorno io c'ero. Quando? Quando debuttò Mancini, quando un tal Cassano segnò all'Inter, quando a Bologna, nella più inutile delle partite, sbocciò Grandolfo. Un nome da elfo nel signore degli anelli, uno, due, tre tocchi da predestinato. Lasciateci pensare che sia nato il nuovo Pablito (non ne nasce uno all'anno?), che ogni fine sia un inizio, come ci ha insegnato il saggio morente e che questo campionato appena tramontato abbia generato un raggio verde che illumina il futuro: Grandolfo. Chi era costui?

Allenatore LEONARDO
In Italia non si gioca più per qualcosa, ma contro qualcuno, si vota contro qualcosa o qualcuno, vero o immaginario che sia. Così il Milan non ha vinto lo scudetto per Allegri, ma contro Leonardo, come da cori di Gattuso, il Lassini rossonero da cui la dirigenza ha finto di prendere le distanze. E lui, Leonardo, prima guru della felicità, poi bersaglio della derisione, prima milanista poi interista, prima critico di un presidente, poi cocco di un presidente, prima quasi vincente, poi assoluto perdente, è diventato suo malgrado il centro di questo sgraziato universo. Fino al prossimo campionato, o alla prossima elezione.

di Gabriele Romagnoli; la Repubblica

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