mercoledì 9 marzo 2011

Sta arrivando

C'è un uomo solo all'inseguimento. La sua maglia è nerazzurra, la sua pelle è scura, il suo nome è Samuel Eto'o. Domenica scorsa ha segnato due reti, avviato con passaggi smarcanti le azioni per altre due. Ha fatto l'inchino a Nagatomo per la quinta, segnalato all'arbitro (quando ancora il risultato era in ballo) che non aveva subito fallo da rigore. Ha devastato la difesa del Genoa, fin qui tra le migliori. Questo, in un pomeriggio. Nel resto della stagione ha fatto gol a catena, difeso Benitez, esaltato Leonardo. Ha eseguito una danza con i sacchetti di plastica sul tetto del mondo. Ha fatto dimenticare Milito, illuminato Pazzini, cercato (e ritrovato) Sneijder. Ha provocato la prima sospensione di una partita per cori razzisti. Ha allacciato le scarpe al portiere del Brescia. Ha tenuto insieme lo spogliatoio, di cui è il leader silenzioso e si dice che, una volta, l'abbia pure ripulito. Stavano avviando le pratiche di beatificazione quando ha dato una testata a Cesar del Chievo, come già due anni prima a un giornalista spagnolo.

È incontenibile, nel bene e nel male. Quando il campionato sarà finito e dovremo scegliere l'uomo dell'anno è già evidente che sarà una partita a due. Questo torneo è in realtà un duello. È la resa dei conti tra due centravanti scaricati dal Barcellona e rinati a Milano. Eto'o contro Ibra: il vincitore si prende tutto. L'interista ha cinquanta milioni di ragioni per uccidere l'altro. È l'estate del 2009. Eto'o accarezza bambini e ricordi.
È una macchina da gol e da figli. Ne ha tre dalla moglie. Una da una ragazza sarda, faticosamente riconosciuta: di qui gli attacchi quando giocherà a Cagliari. Ogni tanto gliene attribuiscono uno nuovo. L'accusa avrà titoloni ("Se non abortisci ti decapito", gli fanno dire), la smentita sarà un colonnino. Non parlerà più con i giornalisti. Guarda il cellulare e legge l'ennesimo sms di Materazzi: "Vieni da noi, spacchiamo il mondo". Eto'o l'ha appena fatto. Il "triplete" (scudetto, coppa di Spagna e Champions) ha la sua firma. Trenta reti in campionato, una (decisiva) nella finale a Roma contro il Manchester. Guardiola, appena arrivato, l'aveva messo nella lista degli indesiderati. Deportati di lusso: lui, Ronaldinho, Deco. Anche un genio può sbagliare, una volta su tre.

Ma gli dei non lo puniscono. A Guardiola, liberatosi degli altri due, Eto'o era rimasto tra i piedi. E gli aveva regalato la stagione migliore. Gol a raffica, grande intesa con Messi. Neppure uno di quegli infortuni che facevano precipitare a Barcellona parenti dal Camerun con stregoni al seguito. "Tieni le zampe di pollo per la mamma di Samuel", sentii dire in un locale accanto al mercato coperto. Eppur non basta. Guardiola ha un sogno e il suo presidente glielo compra: Ibra. Che prenda il posto di Eto'o ci può anche stare. Altrove, la vita continua: si schiudono altre porte, altre donne. L'offesa è il come. O meglio: il quanto. L'insulto è il conguaglio: 50 milioni di euro. La differenza tra Ibra e Eto'o viene fissata da quella cifra impossibile, un refuso di mercato. Eto'o più la Sampdoria (o l'Espanyol) = Ibra. Samuel fa le valigie. Ci mette dentro le magliette attillate e l'orgoglio ferito. La vendetta, come una partita, ha due tempi. Il primo è nella semifinale di Champions 2010. Pur di buttar fuori il Barcellona, nell'Inter decimata Eto'o gioca un'ora da terzino. Come una rockstar stanca di groupies scopre l'impegno. Compie sacrifici invocando la nemesi.

Tu guarda: diventa il primo nella storia a conquistare due "triplete" consecutivi con due maglie diverse. E Ibra? Lascia Barcellona umiliato e offeso, maledicendo Guardiola. E finisce a Milano, sponda rossonera. A questo punto del western non c'è più spazio per i comprimari. Nel secondo tempo gli attori non protagonisti lasciano la scena. Con tutto il rispetto per Pato e Robinho, Pazzini e Sneijder, gli oscar minori sono già stati assegnati. Ora tocca ai grandi, attenti quei due. Il vincitore è... Un mese di tempo per saperlo.

Eto'o continua la rincorsa. Si era caricato l'Inter in spalla quando non era più una squadra, adesso corre più leggero. Si è comprato una casa di mille metri quadri all'ultimo piano di un palazzo in via Turati, davanti alla sede del Milan. Ha invaso il garage di auto: ultimo il fuoristrada con cui s'è fatto multare dalla vigilessa Massimiliana Pinto (per questo elogiata dal sindaco Moratti a cui l'adempimento del dovere fa impressione). Non ultima la Bentley che gli hanno rubato mentre era in prestito ad Arnautovic. Ma è sul tetto che lui si apposta. Da lì ha la visione migliore. Ha visto Ibra arrivare per firmare, indossare la nuova maglia, lanciare proclami. Lo aspetta, lo ha nel mirino, ancora cinque passi e ci siamo, l'avrà preso. In classifica marcatori è avanti di tre gol. Al fantacalcio, tra assist e pagelle, vale di più. Nel derby d'andata ha subito. Ogni viaggio ha un ritorno. Lo ha già sognato, immaginato, preparato. Cinquanta milioni di volte.

di Gabriele Romagnoli; la Repubblica

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