martedì 22 marzo 2011

Big Mac

Si è tatuato una luna. Ha sparato un rigore sulla luna. Si è tatuato una tigre che riposa. Nei suoi occhi la tigre s'è addormentata. A nanna, cucciolone. Con quell'errore astronomico Massimo Maccarone ha tirato un calcio al piano inclinato su cui viaggiano il futuro della Sampdoria e suo personale. Ma a volte ribaltare il tavolo non serve: i punti e il destino sono segnati.

Poi si può pensare che gliel'abbia fatto fare la coscienza: il fallo non c'era, il pareggio sarebbe stato immeritato. Non fosse che nello sguardo gli è sceso un velo di colpa e cinque minuti dopo si è fatto sostituire. Non è il suo anno, alla fine ha trovato il posto giusto per dimostrarlo.

Se n'è andato da Palermo dicendo: "In un matrimonio bisogna essere in due". Per farlo funzionare o per renderlo disperante. A Genova erano ancora sotto choc per la doppia vedovanza Cassano-Pazzini quando l'hanno visto arrivare. Sotto il sole di Nervi il cranio riluceva. Qualcuno ha combattuto la malinconia e i presagi aggrappandosi a un miraggio: "Vialli!", ha gridato. Come evocare Marlon Brando mentre sullo schermo appare Bud Spencer. Eppure i suoi momenti di gloria anche Big Mac li ha avuti. Correva l'anno 2002. Giocava in serie B, nell'Empoli di Silvio Baldini. Faceva coppia in attacco con tal Totò Di Natale. Segnavano 26 gol a stagione (un anno 16 lui e 10 Totò, l'anno dopo viceversa).

Gentile lo convocò nell'Under 21. Fece gol nel primo tempo. Durante l'intervallo chiamò Trapattoni, che allenava la Nazionale maggiore. Disse al collega: "Fai riposare il centravanti, mi serve contro l'Inghilterra". Si era rotto Vieri, che gli predisse: "Se segni, sei a posto per i prossimi ottant'anni". Ci mancò poco. Procurò il rigore decisivo facendosi atterrare da Calamity James. Non lo tirò lui, l'Italia vinse. E scoprì un nuovo eroe. I giornali impazzirono. Non avevano mai visto nessuno andare dalla B all'azzurro. Si scoprì che arrivava dalla provincia di Novara, come Boniperti. Scivolarono i paragoni. Furono intervistati i genitori, immigrati dal Casertano, che si erano conosciuti in una sala da ballo. Il padre disse: "Ha anche un fratello, a me sembrava più forte di lui, ma ha smesso". Fu scovato il fruttivendolo che l'aveva licenziato nel '94 perché bigiava il lavoro per guardare le partite del mondiale americano. Nella torrida estate di mercato che seguì fu considerato come un affronto pari alla fuga dei cervelli il suo trasferimento al Boro, in Inghilterra. Maccarone si giustificò con grande semplicità: "Pagano un ingaggio più alto". Anche lì, arrivò come un miraggio. L'allenatore McLaren annunciò: "Abbiamo preso il giocatore italiano più simile a Del Piero". Nove anni dopo, nella stessa domenica, Alex è ancora lì a far serpentina-tiro-gol, Big Mac a rimirar le stelle.

Tuttavia esordì alla grande: tre gol nelle prime cinque partite. Gli inviati partirono per Boro. Atterrarono con lieve disgusto. Alla domanda su come potesse vivere tra i fumi delle industrie Maccarone rispose: "C'è anche il centro, sapete? E i parchi, tipo Scozia. Poi vengo da Oleggio, mica da Firenze". Li condusse a visitare i due ristoranti sardi dove mangiava, uno vicino al campo, l'altro vicino a casa. Spiegò che imparava l'inglese, a fatica, da un compagno argentino. Promise sfracelli.

E svanì. Infortuni e tristezza. Due anni dopo convinse il Boro a prestarlo al Parma dove allenava Baldini. Non funzionò. Tornò indietro e illuminò qualche notte in Uefa. Vinse una coppa minore restando in panchina. Se ne parlava come di certi attori di seconda fila che a un certo punto vanno a Hollywood, recitano parti minori, fanno sapere che lì è tutta un'altra cosa, altra professionalità. Poi non resta che aspettarli: tornano e si buttano nella commedia.

Il ritorno di Big Mac è stato invece di un buon livello. A Siena aveva trovato la sua dimensione, segnato 49 gol in 134 partite. Era diventato una bandiera, nonostante la retrocessione. Da lì, non ne ha più azzeccata una. Piuttosto che scendere in B ha accolto con gioia l'abbraccio mortale di Zamparini, che ad agosto lo considerava un campione e a gennaio un bidone. Ha svuotato l'armadietto alla vigilia di una partita con il Parma in cui il suo sostituto (un 18enne paraguayano a nome Jara Martinez) avrebbe segnato il rigore decisivo. Ha rifiutato il Cesena, scelto la Samp. Ha visto il Cesena massacrare la Samp. Ha sbagliato il rigore decisivo contro il Parma. Eppure, in quello sprofondo di rimpianti, orgoglio suicida, avanzi d'Albione (lui e Macheda) che è la Sampdoria attuale, se c'è un uomo che può ancora combinare qualcosa, nel bene o nel male, è Maccarone. Mentre Pazzini fa la danza del gol molti piani più in su.

di Gabriele Romagnoli; la Repubblica

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