"Quella fu una storia a sé". Rovinata o esaltata dal ricordo, non c'è giorno che i tifosi del Manchester United o del Bayern non tornino alla finale di Champions del ''99. Lì il calcio, oltre la zona Cesarini, scoprì che una normale partita fatta di ossa, tendini, muscoli, sudore, lacrime, scarpe, meraviglie, sbagli, tifo, arbitri, fango, calci al pallone e negli stinchi, si può anche risolvere nella "twilight zone", ai confini della realtà, dove tutto sembra perso da una parte perché tutto sembra pendere dall'altra: "Confermo che esiste un momento, o un gesto, dopo i quali dici: adesso posso anche smettere". Ole Gunnar Solskjaer, quella sera al Camp Nou di Barcellona, entrò a nove minuti dalla fine al posto di Cole: "Ricordo il colore delle gote del mio allenatore Ferguson, viola, e il silenzio rassegnato dei nostri tifosi". Quel che accadde dal novantesimo in poi ("I tre minuti che cambiarono non solo la mia vita di calciatore ma forse anche il mio modo di percepire la realtà") è come se lo avesse scritto Philip Dick. "Neppure noi ci credevamo più ma dovevamo ugualmente insistere". Mario Basler aveva segnato su punizione al 6' del primo tempo. Il Manchester non riuscì quasi mai a rendersi pericoloso. Ferguson camminava su e giù sin dalla vigilia: "Mai visto così nervoso", prosegue Solskjaer. Scholes e Keane erano squalificati. Molti anni più tardi, Sir Alex lo definì "il mio personale sentimento della notte", una specie di buio agonistico tradotto in impotenza dalle incertezze di Beckham e di Giggs.
Entra Sheringham a quindici dalla fine. Poi Solskjaer. Un'irrefrenabile voglia di buttarsi avanti sconquassa l'etica razionale di Ferguson: "Avessi avuto dieci punte le avrei messe dentro tutte". Scade il tempo. Il Manchester sta per consegnare le armi al Bayern coraggioso, ma non stellare, di Hitzfeld, che aspetta il fischio finale con l'attuale juventino Salihamidzic in mezzo al campo. Non si arriverà neppure ai supplementari. Sheringham pareggia nel primo minuto di recupero: "E noi pensammo: che culo!", ammette Solskjaer. Philip Dick stava scrivendo un finale sconosciuto persino ai protagonisti del romanzo. Al terzo di recupero inoltrato, in spaccata, il norvegese rovescia la storia di una partita qualunque e la trasforma in un ricovero collettivo d'urgenza. Migliaia di appassionati possono rivedere questo episodio di "fantascienza" su YouTube. Si vedono marziani festeggiare e marziani disperarsi. Un ragazzo di Manchester scrisse: "Non date retta a questo messaggio, io sono morto quella sera a Barcellona". Uno di Monaco replicò: "Se la metti su questo piano io sono più morto di te".
Ora Solskjaer allena la squadra riserve, i tifosi dell'Old Trafford gli riconoscono lo status di leggenda: "Ma se c'è un fortunato quello sono io". Stasera le due squadre si rivedranno per un quarto di Champions dal sapore indefinibile perché non può esistere ragionevole vendetta per come andò quella sera. Matthaeus finì piangendo in panchina. Keane rimase immobile al suo posto, in tribuna, come se qualcuno l'avesse inchiodato al seggiolino. Di quella sua squadra già facevano parte Giggs, Neville, Scholes e Brown. Ferguson ne è orgoglioso: "Alleno libri di storia che ancora zompettano come ragazzi della primavera". Stasera però saranno Rooney e Robben, acciaccati entrambi, a decidere. Forse. L'inglese ha un piede ferito, l'olandese corre con un polpaccio dolente. Il primo gioca sicuro, il secondo "solo se è al 100%", spiega Van Gaal. Ferguson professa umiltà: "Jitters!", che vuol dire tremarella. Van Gaal ostenta il suo primato: "Non sono mai stato eliminato da un'inglese, ma il Manchester mi provoca ammirazione, quasi gelosia". Quando si incontrarono nel 2001, sempre ai quarti e sempre con quella finale a ronzare nell'anima, la spuntò il Bayern. Tutto è possibile fra marziani.
di Enrico Sisti; la Repubblica
di Enrico Sisti; la Repubblica
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