venerdì 9 dicembre 2011

City of Manchester

Dei novanta minuti che hanno sepolto Manchester tre finali con una vittoria nelle ultime quattro Champions League per lo United, 326 milioni di sterline investite in tre anni di mercato dal City - rimangono due fotografie. La prima, Basilea. È lo scatto di un ragazzo goffo a due metri dalla porta. La palla gli rimbalza davanti e il ragazzo la deve solo spingere dentro. Invece calpesta il fango e la liscia come un dopolavorista. Lui è Wayne Rooney, il simbolo del tutto e del niente dell’incompleta macchina da guerra di Sir Alex Ferguson, un quarto di secolo di panchina con i Diavoli Rossi e solo tre volte fuori dal G-16 del pallone negli ultimi diciassette anni. Rooney fa una smorfia dolorosa e ha lo sguardo fisso, come se avesse gli occhi di una statua di terracotta. Nei tabloid del Regno Unito la didascalia che racconta la scena è un virgolettato virtuale, un fumetto che gli esce dalla testa: «Davvero sono io, siamo noi, questi qui?». Non è l’immagine di una sconfitta, ma di una ritirata, della rinuncia alla grandezza di un tempo.

La seconda, Etihad Stadium. È un primo piano di Adam Johnson. C’è stupore anche sul suo volto e lui sembra portarsi addosso la stanchezza involontaria di chi è condannato a un’insonnia perenne per un errore che non riesce a perdonarsi. Johnson fa un segno con le mani: 2-0. Non parla dei gol che i suoi compagni hanno segnato al Bayern, ma delle reti di quel Napoli piuttosto favoloso che li sta buttando fuori dal loro sogno. Scansatevi, tocca a noi. Anche questa non è l’immagine di una sconfitta. Di uno spreco, piuttosto. E così, anche se una città intera è costretta a farsi da parte, la prospettiva non è la stessa. Ognuno si aggrappa a quello che ha, sir Alex Ferguson il passato, Roberto Mancini il futuro. Basta ascoltare le parole dei loro giocatori per capire.

Patrice Evra, allo United dal 2006, dice: «È una vera catastrofe. Siamo tristi, è imbarazzante giocare in Europa League. Ma abbiamo meritato di uscire». Come se il nuovo progetto fosse precipitato prima di iniziare. Finita l’era di Paul Scholes doveva arrivare Sneijder, oppure Nasri. Invece l’americano Malcolm Glazer, schiacciato dagli interessi che deve ogni anno alle banche per un club dal valore di un miliardo e mezzo di dollari che nel 2005 ha deciso di comprare a rate, ha guardato Ferguson e gli ha detto: «Linea verde». Sir Alex si è adeguato. Ha preso De Gea in porta al posto di Van der Sar e ha dato spazio a Smalling in difesa. Proprio i due che in Svizzera l’hanno tradito. Anche Roy Keane, che era uno dei suoi avvelenati ragazzi, forse il più cattivo, ha provato a dirlo ai microfoni di ITV: «Lo United è fuori perché lo merita». Il Vecchio Maestro si è risentito. Convinto che il mondo possa essere guardato da un punto di vista oggettivo e di essere lui la persona giusta per farlo ha replicato rinfacciando a Keane i suoi fallimenti da allenatore: «Mi stupisce che Roy parli. Lui c’è stato in panchina e si è accorto di quanto è complicato. I nostri ragazzi stanno crescendo. Sarà come è sempre stato. Torneremo grandi. È la storia che lo dice». Ha voltato le spalle ed è andato via snobbando i giornalisti che gli chiedevano: «Scusa Fergie, non credi che sia arrivata l’ora di passare il testimone?». Fesserie. Per lui la vita senza il pallone sarebbe un errore. Eppure in campionato non domina più, in città è la seconda squadra, l’Europa lo ha espulso e neppure la società se la passa troppo bene. «Ci hanno dati per morti tante volte».

Vincent Kompany, il capitano del City, dice cose diverse. «Siamo fuori, è doloroso. Ma ora vinciamo quello che resta da vincere. Il campionato e l’Europa League». I soldi dello sceicco Mansour non hanno ancora portato i giocatori del City sullo stesso pianerottolo del Barcellona, ma li hanno fatti sentire sullo stesso ascensore, un gruppo in salita, una squadra che vende Tevez e compra Aguero e che se ha bisogno di un centrocampista va a prendere Nasri dall’Arsenal. Miglior attacco e miglior difesa del campionato. Anche se Jens Lehmann, tedesco ex portiere dei Gunners, giura che quelli del City sono solo «noiosi dilettanti. Hanno sempre la palla tra i piedi e non concludono nulla, mentre il Napoli ha cuore e passione». Mancini non gli risponde. «Nel 99% dei casi con dieci punti si passa. Il Napoli ne ha fatti undici, complimenti a loro. Una lezione che serve. La vita prosegue». Non importa se questa notte sembra una cupa sfilata di vinti che smentisce i progetti di gloria, c’è solo una metà di Manchester che ha paura del domani. E non è la sua.

di Andrea Malaguti; LA STAMPA

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