Primo. Le rivendicazioni dello sciopero erano legittime. Nella bozza proposta dalla Lega calcio, un organismo dominato da Adriano Galliani e Claudio Lotito per tramite del giornalista-manager Maurizio Beretta, c'erano clausole contro la legge. Il meccanismo del trasferimento forzato e degli allenamenti a parte per i fuori rosa è discriminatorio e Lotito è già stato condannato per averlo praticato alla Lazio.
Secondo. I tifosi sembrano credere che i calciatori non siano lavoratori. Il peggiore dei cori da stadio per una squadra di scarso rendimento è: andate a lavorare. Notizia: i calciatori sono lavoratori. Hanno una carriera breve e, fra loro, disparità di trattamento economico colossali. Altra notizia: non è vero che guadagnano sempre di più. La maggioranza guadagna sempre di meno e, a parte il caso del Bologna in serie A, i mancati stipendi sono la regola nelle serie professionistiche inferiori.
Terzo. Se il calcio è devastato dagli stipendi dei campioni, la colpa non è dei campioni. Se Messi riempie lo stadio e, con tutto il rispetto, Moscardelli no, la legge di mercato deve premiare Messi. Il calcio è un mestiere di tipo artigianale. Un artigiano molto bravo si chiama artista e se nessuno si scandalizza del prezzo di un Andy Warhol, non si vede perché scandalizzarsi dello stipendio di Ibrahimovic. Warhol e Ibrahimovic basta non comprarli.
Quarto. Il modello economico del calcio è un caso lampante di liberismo integralista e autolesionista. I proprietari dei club sono abituati a non avere regole. Il calcio è un'impresa come le altre, diceva il distruttore di imprese Sergio Cragnotti. Aveva torto. Infatti, la sua Cirio è finita in bancarotta. La sua Lazio è stata salvata.
Quinto. Tutte le terapie proposte per salvare i conti del calcio, dal salary cap alla proprietà degli stadi, sono o impraticabili o palliative.
L'unica cura, semplicissima, è: spendere in base ai ricavi. Se ogni anno un club perde un mare di soldi, come capita a tutti i grandi, deve essere penalizzato in classifica.
Grosso modo, è la strada che tenta di imboccare Michel Platini, il cosiddetto fair play finanziario. È la l'unica soluzione, se davvero gli oligarchi del calcio continentale non si metteranno di traverso. C'è da avere qualche dubbio perché, con il fair play di bilancio, vincerà chi è bravo non chi è ricco o chi perseguita meglio le maestranze.
Meglio i dribbling del mobbing.
di Gianfrancesco Turano; L'ESPRESSO
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