Mostrare la coppa al mondo. Alzarla più in alto che si può. Sollevarla con i compagni. Meritarsela tutta, dal primo all'ultimo grammo, dalla prima all'ultima stilla di sudore, dal primo all'ultimo giorno di Inter. Javier Zanetti mostra la coppa del mondo che il suo club ha appena vinto, regolando senza problemi i congolesi del Mazembe, e in quell'ostensione c'è una storia di vita e di sport che è un esempio per chiunque. Zanetti e l'Inter, ormai, sono una cosa sola.
Il capitano è all'Inter dal 1995. Ne ha attraversato tutta la storia recente, che tra l'altro coincide con la presidenza Moratti. E' stato il simbolo delle sconfitte più atroci: l'Inter dei perdenti si identificava in lui, in quel suo correre sempre uguale e sempre potente, ma alla fine mai produttivo, o comunque mai vincente. Lui ha avuto la capacità di rimanere fedele a se stesso, sempre puntando sulla professionalità, sull'impegno nel lavoro e negli allenamenti, sulla correttezza cristallina in campo e fuori. Un esempio per i compagni di squadra, un avversario stimato da tutti i giocatori delle altre squadra. Ha attraversato e vissuto sulla propria pelle i tracolli interisti più drammatici, come quello del 5 maggio 2002. Ha lasciato il segno però nell'unico trofeo vinto da Moratti nel suo primo decennio di presidenza, quella Coppa Uefa del 1998 che lo vide protagonista in finale contro la Lazio, segnando persino un gol bellissimo, lui che non ne segna quasi mai. Poi è rimasto il simbolo dell'Inter anche negli anni della risalita, quando le distanze da Juve e Milan si sono annullate dopo il terremoto di Calciopoli, e il suo club ha iniziato a vincere gli scudetti inseguiti per tanto tempo. E Zanetti sempre lì, sempre pettinato allo stesso modo, sempre professionale e impeccabile, anche nel nuovo ruolo di centrocampista che gli ritaglia Mancini.
Arriva Mourinho e si pensa che Zanetti potrà avere qualche problema: macché. Il capitano rimane una colonna anche col portoghese, irrinunciabile in qualsiasi frangente, da terzino di destra o di sinistra, da centrocampista multiforme. Passano gli anni e il capitano è sempre lì, mai una flessione di rendimento. E' giusto che a Madrid alzi lui la Champions, ed è persino sacrosanto che la vittoria arrivi nel giorno in cui lui festeggia la partita numero 700 con la maglia nerazzurra. Poi si arriva ad Abu Dhabi e il capitano, quello che non segna quasi mai, realizza il gol del 2-0 in semifinale. La finale col Mazembe ha poca storia, e anche grazie a Zanetti, che dopo l'1-0 di Pandev avvia e perfeziona con un assist l'azione del 2-0, prima del 3-0 nella ripresa di Biabiany. Il trionfo è completo, assoluto. Quasi sedici anni di Inter, una vita dentro e per il suo club. Dietro quella coppa del mondo che il capitano alza nella notte araba, c'è una meravigliosa vita di sport che tutti vorrebbero imitare.
di Andrea Sorrentino; la Repubblica
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