sabato 30 ottobre 2010
martedì 26 ottobre 2010
Ballon d'Or
Ecco i 23 candidati del 2010:
Xabi Alonso (Spagna);
Daniel Alves (Brasile);
Iker Casillas (Spagna);
Cristiano Ronaldo (Portogallo);
Didier Drogba (Costa d'Avorio);
Samuel Eto'o (Camerun);
Cesc Fabregas (Spagna);
Diego Forlán (Uruguay);
Asamoah Gyan (Ghana);
Andrés Iniesta (Spagna);
Júlio César (Brasile);
Miroslav Klose (Germania);
Philipp Lahm (Germania);
Maicon (Brasile);
Lionel Messi (Argentina);
Thomas Müller (Germania);
Mesut Özil (Germania);
Carles Puyol (Spagna);
Arjen Robben (Olanda);
Bastian Schweinsteiger (Germania);
Wesley Sneijder (Olanda);
David Villa (Spagna);
Xavi (Spagna).
Il grande assente? Un tale Diego Alberto Milito, un giocatore da podio.
Speriamo che a Sneijder sia permesso di ritirare il premio, così da rendere ancora più storica la scorsa annata, e da tentare si risalcire il Principe.
Come avete visto mi sono astenuto dall'insultare chi ha contribuito a stilare questo ridicolo elenco.
10-0
Il famoso "tanto a poco". Un dieci a zero è difficile da sopportare comunque lo si veda. Infastidisce chi vince, perché esce imbarazzato, come se avesse inveito sul corpo di un avversario già abbondantemente sovrastato, probabilmente già arreso. Sconvolge chi perde perché l'antica immagine del pallottoliere funziona ancora benissimo nonostante le trasformazioni del linguaggio metaforico dello sport. Palla al centro per dieci volte nel giro di novanta minuti. Più di un gol ogni dieci minuti. Se poi a prenderle è una squadra blasonata, che ha pure vinto tanto in tempi che adesso non appaiono soltanto lontani ma addirittura fiabeschi, c'è da chiedersi perché, da dove venga il tracollo emotivo, sociale, esistenziale che ha costretto il Feyenoord, la prima squadra, prima addirittura dell'Ajax, a disseminare per il mondo i semi del calcio totale, a perdere non tanto una partita quanto la dignità davanti a una sua simile, il PSV (è come se Manchester United-Chelsea finisse 10-0). Il Feyenoord, proprio il Feyenoord, la prima ad alimentare pubblicamente il sospetto che quell'Olanda, l'Olanda di fine anni Sessanta, fosse un paese molto più ricco e complesso, molto diverso dalle viete esemplificazioni (noi pizza e mandolino, loro mulini a vento e tulipani).
Dunque vediamo: il PSV batte il Feyenoord 10-0. Che fosse la partita del dieci lo si capisce al 34' del primo tempo quando gli ospiti, appena sotto di un gol, restano con un uomo in meno per le espulsione di Leerdam, che colleziona due cartellini gialli in poco più di cinque minuti (cinque è il doppio di dieci). Reis aveva segnato poco prima per gli illuminati uomini della Philips (il PSV Eindhoven è praticamente un filo di tungsteno calcistico dell'azienda). Il secondo tempo comincia sul 3-0: si può temere il rovescio perché il team dei ricordi allenato da Mario Been (uno dei tanti piccoli stranieri scovati da Anconetani per il suo Pisa) non corre più. Ma il rovescio e l'umiliazione, fra le gambe molli e l'impotenza autolesionista pare ci sia ancora una differenza. Al 24' il risultato è 8-0. Sugli spalti non sanno se ridere o andarsene, vincitori compresi: "Mi vergogno come un ladro - dirà Been - se volete me ne vado". Non è questione di tecnico. E' una specie di vortice che risucchia l'intera storia di un club. Il calcio è pieno di partite finite "tanto a poco".
Negli almanacchi Panini, fra le grate che riassumevano genialmente tutti i risultati delle varie stagioni del campionato italiano a girone unico, entrava a malapena il 10-0 inflitto dal Grande Torino all'Alessandria. Erano gli anni in cui i granata segnavano 125 gol a campionato. Noi ragazzini eravamo quasi impauriti a guardare. C'è un celebre 7-1 che sempre il Toro rifilò alla Roma allo Stadio Nazionale (poi proprio Stadio Torino, quindi Flaminio): ma i giallorossi avevano chiuso il primo tempo in vantaggio. Il Milan travolse un giorno l'Atalanta (9-3). Era il 1973. Un anno dopo la Jugoslavia fece 9-0 con lo Zaire ai mondiali tedeschi. Ci si chiede sempre se abbiapiù senso insistere o smettere, una volta superato un certo numero di reti di vantaggio. Ancora la Roma, quella di Spalletti, quando vinse 7-0 col Catania di Marino, venne accusata di ferocia e il Catania, con in testa Mascara (quel giorno espulso), se la legò al dito al punto di annunciare: "Ci vediamo al ritorno". Ci furono incidenti. Ma ci pensò il Manchester United a vendicare i siciliani: 7-1 in Champions League in una serata che difficilmentte sarà dimenticata dal popolo giallorosso. Altri casi su cui discutere. Inzaghi, un giorno, col Torino sdraiato (5-0), esultò al 6-0 come se avesse vinto un mondiale da solo. Corsa dei calciatori granata verso Pippo: le intenzioni erano palesi. Nessun problema ebbero gli australiani quando, in un match di qualificazione mondiale, ebbero il coraggio di battere le Isole Samoa per 31-0, stabilendo un record paradossale col quale finisce il divertimento: il calcio che diventa basket, ma soltanto per una delle sue squadre. Romario disse: "Lo spirito dello sport non prevede compassione. La compassione è una mancanza di rispetto per l'avversario". Poi aggiunse, coltamente: "E' come se un pittore avesse a cuore soltanto uno dei personaggi o degli oggetti del suo quadro, dipingendo gli altri con la mano sinistra: ne verrebbe fuori un orrore". Che poi è una traduzione libera della cavalleria all'inglese: io ti voglio bene, per questo ti uccido. Animato da un profondo senso di rispetto, lo scorso anno il Tottenham riuscì a battere 9-0 il Wigan senza code psichiatriche.
La coda, semmai, è quella fra le gambe dei giocatori del Feyenoord, la squadra che 40 anni fa, guidata dall'austriaco Ernst Happel, vinse la Coppa dei Campioni battendo a San Siro il Celtic con lo svedese Ove Kindvall al centro dell'attacco e con l'alter ego di Cruyff a centrocampo, Van Hanegem (arbitrò Lo Bello). Il Feyenoord è in crisi culturale (un mix di disastri tecnici ed economici da anni). Dalla sua scuola in disarmo sono usciti, fra gli ultimi, Dirk Kuyt e Robin Van Persie. Prima di loro Roy Makaay e Tomasson. Qui hanno giocato negli ultimi anni, sperando più di quanto forse fosse lecito, Julio Cruz, il Boateng del City e un giovanissimo Salomon Kalou (ora riserva di lusso al Chelsea). Ora la leggenda rantola con soli otto punti al terz'ultimo posto in classifica e con una macchia indelebile sulla sua fedina agonista. La vita è breve ma certe partite sono lunghissime.
di Enrico Sisti; la Repubblica
Il buon Milos
Milos Krasic è un ragazzo serio e serbo. Riaccostati questi due aggettivi messi in contrasto dallo sventato gioco di parole di un giornalista Mediaset, resta il fatto che il bravo ragazzo è uomo della domenica per un tuffo altrettanto sventato da cui si rialza con la forza della resipiscenza, scontando un anticipo di pena che si autoinfligge. Così facendo ci induce a sospettare che anche i calciatori abbiano una coscienza.
Milos Krasic va giù al 34' del primo tempo nell'area di rigore del Bologna. Nei minuti precedenti non è stato all'altezza della sua recente fama: ha vagato sulla fascia anziché terremotarla come fa di solito. Infine ingrana e si lancia verso il fondo, da cui può inventare qualsiasi cosa. Infatti è proprio quel che succede. Portanova gli va incontro, ma non addosso. Eppure cade, Milos. Vola, subisce, invoca. E l'arbitro dà rigore. Un rigore inesistente fischiato a favore della Juventus non è un evento qualsiasi, è una categoria dello spirito, una forma di sofferenza acuta e condivisa da chiunque juventino non sia. È il broglio elettorale del partito di maggioranza: non occorre, ma infierisce.
È un trauma che ne riporta alla luce altri, sepolti sotto la rimozione e l'oblìo. Sulla panchina rossoblu Malesani rivive come dall'analista il gol annullato a Cannavaro con il Parma che decretò il declino della sua carriera. E lo stadio? Ci sarebbe voluto Edmondo Berselli per descrivere il Dall'Ara perso a sfogliare un album Panini di figurine dell'ingiustizia, da Trezeguet fino a, per chi ne ha memoria, Cinesinho. Avrebbe scritto, parafrasando al contrario la descrizione dell'autogol di Niccolai, che quel rigore inesistente "è la realizzazione di un avvenimento lungamente esorcizzato attraverso un'esperienza arcana, il solidificarsi delle paure collettive, l'inaccettabile che si compie come una profezia sciagurata in questa valle di lacrime, con un sospiro rassegnato della Storia ineluttabilmente realizzata".
Iaquinta invece non realizza, Viviano para, Malesani comincia a credere in Dio o, almeno, nello spirito di Giacomo Bulgarelli e tutto riprende come prima, con un'eccezione: Milos Krasic. Scompare dal campo molto prima che Delneri, con una mossa senza precedenti, lo sostituisca al 18' della ripresa. Che gli è successo? Lo paralizza il senso di colpa? Possibile? Thierry Henry, dopo il fallo di mano che ha negato la qualificazione per il Sudafrica all'Eire, è di fatto svanito tra un mondiale vergognoso e l'esilio a New York. La pena di Krasic è proporzionata alla minor gravità del reato, ma dimostra che il ragazzo è davvero serio: non potendo autodenunciarsi si è autopunito.
Milos è una specie di alieno per destino. Nato a Kosovska Mitrovica, viene sospinto dal padre a giocare altrove, dove la vita quotidiana non contempli pane e rischio. Quattordicenne, finisce a Novi Sad, in una specie di collegio per calciatori della Vojvodina. Qui conosce la ragazza con cui si fidanzerà e Milan Jovanovic, che gli farà da fratello maggiore. Ha raccontato in una bella intervista a Tuttosport che un giorno di bombardamenti, mentre gli altri erano scappati nei rifugi, lui era rimasto nella stanza, a guardare gli aggiornamenti in tempo reale alla tv. Poi si è accorto di non essere solo: alle sue spalle c'era un biondino, il più piccolo del gruppo: Krasic. Come molti della loro generazione confondevano realtà e rappresentazione, guardavano sullo schermo quel che era visibile alla finestra e accettavano una sfida in cui avevano nulla da guadagnare. Jovanovic gli dà un solo consiglio: non ascoltare l'allenatore. Lui lo mette in pratica con chiunque, da ultimo con Delneri che si sgola per ricordargli l'esistenza della fase difensiva. Invano. Milos parla soltanto la propria lingua perduta. È stato solo per anni a Mosca, è solo a Torino. In campo è una monade che non si cura dell'armonia prestabilita: avanza perché gli piace, salta l'avversario perché sa farlo. Nell'unica vittoria ai mondiali, incredibilmente contro la Germania, fece perdere il posto in squadra al terzino Badstuber, superandolo dodici volte.
Voleva andarsene dalla Russia, sognava l'Italia. Al compleanno gli regalarono una torta rossonera. Quando è arrivato alla Juventus ha comunque detto: "It's my dream". Poi ha taciuto, corso e segnato. I tifosi lo chiamano Red Bull perché mette le ali, ne hanno fatto un simbolo di riscossa, lo proteggono da ogni critica, reale o immaginaria. Nella blogosfera è stata richiesta la denuncia di un giornalista della Gazzetta che lo ha definito "veloce sulla fascia, ma non nella saletta antidoping". La società lo ha messo in una teca. Strepitosa la giustificazione di Delneri per quel tuffo dove l'erba è più verde: "Non ha simulato, ha immaginato". Questo è un Paese cattolico, mister, almeno la domenica: si pecca anche con il pensiero. Per sua fortuna Krasic non capisce ancora quel che dicono nei dopopartita, non lo feriscono né l'attacco alla logica né quello alle sue origini. S'indigna per procura il suo agente. Lui aspetta solo di tornare a correre, immaginando sul serio di non cadere più.
di Gabriele Romagnoli; la Repubblica
lunedì 25 ottobre 2010
L'analisi
L'1-1 di Inter-Samp fa sorridere Reja. In attesa di Napoli-Milan, stasera, la Lazio ha 4 punti sulla più vicina. C'è un dato che infastidirà Reja: dal 2004 in avanti la squadra in testa dopo l'ottava giornata ha sempre vinto lo scudetto. Non gli dispiacerà invece sapere che la sua Lazio ha fatto meglio di quella di Maestrelli e di quella di Eriksson, colleghi stimati che evocano scenari precisi. Reja è un tecnico realista, nato sul confine e abituato a guardare avanti appena ha passato un ostacolo. Sa che le grandi tradizionali prima o poi si sveglieranno, ma quante? Una? Due? Tutte? Sa che il discorso dei punti buoni per la salvezza è più giusto che lo faccia Pioli (mica male, il Chievo quarto) e che la Lazio non può nascondersi. Mancano alcune partite di vertice per definirne il valore globale, comunque alto (in attesa del miglior Zarate). Non è lo squadrone che annienta la concorrenza, ma nemmeno per ora si vede in giro, uno squadrone così. E' una squadra ordinata, che difficilmente perde la testa (col Cagliari, che ha giocato bene, qualche attimo di sbandamento c'è stato, essere primi richiede anche un allenamento mentale). Per dimostrare che non ci sono figli e figliastri, ieri Reja ha richiamato in panchina Hernanes, il nuovo idolo, perché Matuzalem gli garantiva maggior copertura in difesa dei tre punti.
Strano campionato, decisamente. Prendiamo l'Udinese, zero punti dopo 4 partite: Altre quattro partite e ha nove squadre alle spalle. Prendiamo la Roma dei dolori e delle amnesie: è 2 punti sopra la zona B, ma 3 punti sotto la Juve di cui Del Neri si dichiara soddisfatto anche dopo uno 0-0 a Bologna abbastanza piatto. E' mancata la consueta spinta di Krasic, che s'è fatto notare solo in occasione del rigore a favore (che non c'era, e che Viviano ha respinto). Ruotate tutte le punte (problemi al tendine per Amauri) ma senza cavarne molto, Del Neri proietta buona parte della soddisfazione sulla prestazione della difesa. Gli eredi di Buffon (Viviano e Sirigu) hanno già incassato 12 reti. Non è detto che sia colpa loro, anzi, ma di peggio ha fatto solo Gillet (13). Dettaglio che s'allunga mestamente su una settimana in cui solo l'Inter ha vinto in Europa, e nemmeno il 4-0 dopo 45' e un uomo in più le hanno garantito un sereno finale.
La Samp ha fatto la partita difensiva che doveva fare, senza mai rinunciare al contropiede. Restano dubbi sul modo in cui Cassano ha fatto fuori Chivu, ma il pari della Samp è giustificato anche dalle occasioni di Koman e Pazzini sull1-1 e dalla giornata di riposo in meno. L'Inter ha dato il meglio una volta sotto nel punteggio. Con generosità (Lucio e il miglior Coutinho della stagione), in modo confuso (Sneijder, Pandev), tanto va a finire che segna sempre Eto'o, meno brillante del solito (e bisogna capirlo) ma puntuale alla deviazione su assist di Coutinho, che visto dall'alto ricorda un cavallino della giara di Gesturi e comincia a mostrare un piede melodioso. L'Inter ha costruito molto e segnato poco, è un vecchio discorso legato alla scarso numero di punte, vecchio ma molto attuale.
di Gianni Mura; la Repubblica
INTER-Sampdoria 1-1
Il solito Eto'o, che segna una rete magnifica, ed un grande Coutinho non riescono a completare fino in fondo la rimonta contro Cassano e soci, andati in vantaggio con un rocambolesco gol di Guberti, causato da una dormita di Chivu.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxCVqUnNYYLygZn7f8Tmp-A1N4-TaKlDRlfRWtW5Qo1U6_ySXNDV1-7Wngq6HmhFvPwQwUWtqBlwW1Kj6t8q-wcBE2VzKNs9EfP5oVEFij71sDbM80YiRSaJo7ZdLR9I000_56lMiJeu_r/s400/cassano_.jpg)
La magia nera di Fernando
Bernie Ecclestone, che compirà 80 anni giovedì, è nato a Ipswich, il paese delle streghe. La traduzione dal tedesco del cognome di Vettel significa «vecchia strega».
Ma il vero sciamano della F1 è Fernando Alonso, che sembra essere in grado di predire il futuro. In tempi non sospetti, esattamente l’11 luglio scorso a Silverstone, in uno dei peggiori giorni della Ferrari, dopo essersi classificato al 14º posto, staccato di oltre un minuto, il pilota spagnolo, sorprendendo tutti, disse: «I risultati non ci sono, ma la macchina sì. Vincerò il Mondiale».
Un’affermazione che conferma tutta la determinazione del ventinovenne campione di Oviedo. Non c’è soltanto il talento del pilota nei suoi successi. Certo, la visione della gara, la capacità di essere di volta in volta, a seconda delle situazioni, riflessivo o aggressivo, sono parte integrante delle sue qualità. Ma è sopratutto il carattere vincente a farne un fuoriclasse. Da ragazzino, accompagnato dal padre José Luis, viaggiava su un’auto sgangherata sulla quale dormiva anche, per correre in kart da una pista all’altra. «Sapevo dare valore a quello che avevo, perché siamo una famiglia normale. I miei genitori lavoravano entrambi e una buona parte di questo sforzo finiva nelle corse. L’unico modo per ripagarli era vincere le gare e darci soddisfazione».
Alonso è uno splendido solista capace di instaurare con la squadra un rapporto biunivoco: ieri per spiegare il problema con il dado della ruota avuto al box, ha detto che non si era fermato al posto giusto. L’obiettivo? Coprire il meccanico che sarebbe potuto finire nei guai. L’empatia crea simpatia, il campione spagnolo e il marchio italiano si fondono in un impasto unico, com’era quello tra la Rossa e Schumacher. Proprio così, Alonso e la Ferrari esportano l’immagine di un’Italia vincente, quasi un’eccezione di questi tempi.
di Cristiano Chiavegato; LA STAMPA
venerdì 22 ottobre 2010
Rifondazione
Il nuovo tecnico dell'Under 21 è e sarà Ciro Ferrara, che sostituisce Gigi Casiraghi.
Buona fortuna a entrambi, e vediamo di risollevare questo movimento sportivo.
Avviso ai naviganti
Scrivo e "pubblico" articoli altrui soprattutto per confrontarmi con Voi.
Saremo pure quattro gatti, ma commentate!!!
Saremo pure quattro gatti, ma commentate!!!
giovedì 21 ottobre 2010
INTER-Tottenham 4-3
Punteggio più deviante di questo non esiste. Partita, che in realtà non c'è mai stata, dominata per tre quarti, quasi buttata per merito di Bale (mica scarso...), e per colpa dell'atteggiamento dei nostri, che hanno smesso di giocare.
Vantaggio dopo 70 secondi con Zanetti, su assist di Eto'o servito da Coutinho, passano 10 minuti e c'è il raddoppio su rigore di Eto'o per fallo di Gomes (espulso) su Biabiany, poco dopo terzo gol di Stankovic (molto bello), infine al 35° minuto quarta rete ancora del grande Samuel su passaggio in profondità di Coutinho.
Il Tottenham non riesce a reagire, ed evita un passivo peggiore grazie a Cudicini, ma dopo 6 minuti della ripresa Bale si inventa un'azione da fuoriclasse conclusa degnamente, e segna quello che sembra il più classico dei gol della bandiera. Nel finale l'Inter crolla, e Bale al 90° timbra il cartellino con una rete quasi identica alla prima, e un minuto dopo, ne fa un altro.
...A proposito di cartellini, il buon Bale da ieri costa 10 milioni in più.
martedì 19 ottobre 2010
Cagliari-INTER 0-1
Nonostante i cori razzisti ai suoi danni, Samuel Eto'o si conferma il vero e unico trascinatore dell'Inter di questo inizio di stagione, segnando un'altra rete, un'altra magnifica rete da fuoriclasse, giocando nella posizione di Milito.
Da segnalare il ritorno di Thiago Motta, e le prestazioni più che opache di Sneijder e Maicon.
mercoledì 13 ottobre 2010
Il peggio peggiora
Bruttissimo colpo al cuore del calcio. Il cuore non è la pancia e neanche la testa. È voglia di godersi uno spettacolo, è passione, è saper stare con gli altri. Poco importa sapere che Italia-Serbia avrà come risultato un 3-0 a tavolino e che la Serbia, per colpa dei suoi tifosi peggiori, sarà probabilmente esclusa dalla competizione. Importa che contro l'ottusità e la violenza non si scorga una linea di difesa. Che la festa di Genova sia rinviata a data da destinarsi.
I bambini in maglia azzurra e anche gli altri, quelli serbi con la maglia bianca e rossa, avevano gli occhi tristi e pieni di domande, cui qualcuno dovrà rispondere.
Una sola riguarda l'Italia: come ha fatto a entrare allo stadio, tanto più dopo i tafferugli in città che hanno coinvolto lo stesso pullman della nazionale serba e particolarmente il portiere Stojkovic, che s'è chiamato fuori, quella cinquantina di figli di Arkan, attrezzati con tutto il necessario per far saltare la partita? Il capo, un grassone a volto coperto, maglietta nera con teschio e numero 28 tatuato sul braccio, dev'essere molto fiero di sé. Il resto è noto, forse sottovalutato. Nell'est europeo, dalla Polonia all'Ungheria, dalla Serbia alla Russia, negli stadi stanno crescendo i gruppi ultranazionalisti e neonazisti. Non ci sarà molto da divertirsi, ai prossimi europei. Altri sport hanno saputo isolare e guarire il fenomeno della violenza. Il calcio no, e non è da discutere ora l'impegno (relativo o scarso). Ma il risultato è quello di Marassi. Un non risultato. Una partita sequestrata da un gruppo di imbecilli che crede di stabilire cosa sia l'onore o il disonore di un Paese. Beccare 3-1 in casa dall'Estonia è un disonore, di qui la marcia su Marassi e nell'intervallo, giusto per tenersi in allenamento, un po' di botte sulla giornata belgradese del Gay Pride.
Basta un gruppetto di questi black block senza uno straccio d'ideologia per fermare una partita? Sì. Dopo oltre mezz'ora di ritardo sul fischio d'inizio si è giocato per 5', un fumogeno è finito vicino a Viviano e al quel punto l'arbitro scozzese ha deciso che non c'erano più le garanzie di sicurezza per continuare. Difficile dargli torto, anche se ricordo situazioni peggiori. L'unica alternativa era sloggiare i tifosi peggiori, ma la polizia s'è limitata a guardarli dal campo. Irrompere in quel settore avrebbe causato guai peggiori e l'"arrivano i nostri" ormai si vede solo al cinema.
La federcalcio serba non pare molto preoccuparsi dei galantuomini che espatria, sia pure verso uno stadio, ma anche questa è un'osservazione marginale. Si dovevano ricordare con un minuto di silenzio i nostri militari morti nel corso di una guerra vera. Da spettatori, con diversi stati d'animo, di quella che doveva essere una semplice partita di calcio, abbiamo man mano visto la solita guerriglia da pallone, ma non solo, non sottovalutiamo le dimostrazioni di orgoglio cetnico, le bandiere bruciate. Il grassone tatuato e i suoi amici questo hanno provato a dirci: che il calcio per qualcuno o molti è anche politica, roba sporca, esibizione di muscoli e slogan. Non è pace, non è fairplay, non è etica. Nel caso lo avessimo dimenticato, grazie di avercelo ricordato.
di Gianni Mura; la Repubblica
martedì 12 ottobre 2010
Non va...
Il vantaggio ottenuto vincendo in casa 2-0 contro la Bielorussia non è servito a nulla: l'Under 21 nel match di ritorno, spareggio per qualificarsi all'Europeo, è stato perso 3-0, prendendo due sberle nei primissimi minuti di gioco, ed il colpo del ko nei supplementari.
E' un risultato molto deludente, ma basta con i processi, soprattutto da parte di chi fino a ieri esaltava la vittoria casalinga dell'andata. Ad ogni modo, Casiraghi rischia grosso.
mercoledì 6 ottobre 2010
venerdì 1 ottobre 2010
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