"Fu tosta, ma vincemmo contro gli spagnoli. Ed è una delle soddisfazioni che ancora oggi porto con me". L'unico nerazzurro ad aver battuto il Barcellona segnando sia all'andata che al ritorno (e nel mezzo, addirittura in una terza gara sospesa per nebbia, quindi una tripletta di fatto), ha sempre avuto un destino nel nome: Roberto Boninsegna. Il terzo capocannoniere assoluto nella storia centenaria interista riuscì nell'impresa nel suo primo anno con l'Inter. Correva il 1970 e Bonimba, come ancora oggi lo chiamano i suoi inossidabili fans, era appena approdato alla corte del presidente Fraizzoli. "Fu un grande momento, il Barça è, da sempre, una delle migliori formazioni del mondo", dice senza fronzoli, quasi brusco, com'è nel carattere di questo ex centravanti che nella vita e nella carriera si è sempre fatto rispettare andando avanti da solo, a suon di portieri battuti e stopper beffati. Senza raccomandazioni, sponsor e con poca diplomazia, ma con tanta, tanta sostanza in campo. Lui, nato nell'Inter, innamorato dell'Inter, tornava a casa. (Ri)acquistato dal Cagliari di Gigi Riva e non per due soldi. Ai rossoblu andarono tre calciatori del calibro di Domenghini, Gori e Poli. E in quel '70 lo scambio sembrò dare ragione ai sardi che vinsero il primo, unico, clamoroso scudetto proprio davanti ai lombardi. Ma i sette anni di Boninsegna milanese avrebbero poi riequilibrato quel giudizio: con il numero nove al centro dell'attacco, la squadra di Gianni Invernizzi vinse in eclatante rimonta il tricolore dell'anno seguente; quindi raggiunse l'ultima finalissima di Coppa Campioni arrendendosi solo all'Ajax del divo Cruijff e il bomber conquistò per due volte il titolo assoluto di capocannoniere (in anni in cui c'era da giocarsela con attaccanti fenomenali, qualche nome: Gigi Riva, Paolino Pulici, Giorgio Chinaglia, Pietro Anastasi, Luciano Chiarugi, Pierino Prati) . "Diciamo che lo scambio andò bene sia all'Inter che al Cagliari, alla fine", taglia corto Roberto, quasi dovesse liberarsi con una gomitata di un difensore assillante sotto veste di una domanda non proprio gradita.
Ma andiamo a quella sfida in Coppa delle Fiere. "Non si può dimenticare, ma i dettagli beh, è roba di quaranta anni fa, non chiedetemi di rammentare tutti i particolari", gioca d'anticipo il goleador che unisce diverse generazioni di tifosi (anche grazie ai filmati di YouTube che lo mostrano ancora oggi ai più giovani nelle sue acrobazie in area di rigore). Le cronache dicono che il 14 gennaio 1970 si giocavano gli ottavi di finale della prestigiosa Coppa delle Fiere - oggi assimilabile all'Uefa League - e che l'Inter era attesa a Barcellona nel celebre Nou Camp. Si va in campo in una Spagna ancora dominata dal franchismo ma dove Francisco Franco, appena un anno prima, aveva nominato il suo erede in Juan Carlos I di Borbone (che alla sua morte, nel 1975, sarebbe stato incoronato re). L'Inter gioca dunque in uno dei tempi del grande calcio. E qui Bonimba ti sorprende per la nitidezza di certi ricordi: "Quello stadio era da brividi. Mamma mia, ti perdevi a girarlo tutto. Ce lo fecero visitare perché era un gioiello, c'era persino una piccola chiesa, lì dentro. E poi gli spalti, l'accuratezza degli spogliatoi, il lungo sottopassaggio, insomma, tutto ti intimoriva già prima di calcare il prato". Intimoriti, voi? "No, no, che c'entra, dicevo in generale perché noi personalmente non eravamo tipi da disorientarci troppo, tanto che una volta in campo prima io e poi Mario Bertini andammo in gol". Già, difficile immaginare grossi imbarazzi in una formazione che nel match iberico schierava Vieri, Burgnich, Facchetti, Bellugi, Landini, Cella, Suarez, Mazzola, Boninsegna, Bertini, Corso. C'era ancora un bel po' di Grande Inter, insomma. "La buttai dentro quasi subito - continua Bonimba - poi loro ci ripresero e Mario (Bertini, ndr), ci riportò in vantaggio. Credo tutto nel primo tempo. Nella ripresa fu un assedio ma la nostra difesa difficilmente prendeva due gol in una stessa partita...". Quasi perfetta la sua ricostruzione: gol di Bobo al settimo, pari della mezzala Fustè al ventesimo e nuovo soprasso nerazzurro al trentaduesimo. Inutile predominio blaugrana nel secondo tempo e qualificazione che prende la strada di Milano. "C'erano parecchi nostri tifosi e fecero una festa incredibile per le ramblas, ma io sapevo che sarebbe stata ancora dura. Se c'era ancora il franchismo? Sinceramente rammento solo che quella sera la Spagna mi sembrò bellissima". Succede quando si vince su un campo che ha fatto la storia del football.
Poi Bonimba ha un lampo: "Aspetta un attimo: ma se non ricordo male giocammo tre volte contro il Barça". Tre volte? "Sicuro, una fu sospesa per nebbia ma eravamo in vantaggio e indovinate di chi era il gol? Mio...". Un precedente sparito da tutti gli almanacchi. Ma Bobo ha ragione, come testimonia il più completo (e incredibile) archivio informatico sulla storia dell'Inter che si deve a un ragioniere, Tommaso De Lorenzis, ideatore di www. storiainter. com, un diluvio di dati, formazioni, notizie, immagini, match ufficiali e amichevoli, imperdibile per un interista. La partita rinviata si disputò il 28 gennaio 1970 e Bonimba al quindicesimo siglò il vantaggio lombardo. Inutile perché, implacabile, la nebbia al trentatreesimo mise fine alla contesa. "Gol non conteggiati perché c'era la nebbia o la neve, gol non conteggiati perché c'era stato il 2 a 0 a tavolino per intemperanze del pubblico, gol non conteggiati per ininfluenti deviazioni che li trasformavano in autoreti: sinceramente me ne sono state sottratte molte di segnature e con i regolamenti odierni, dove ti attribuiscono la rete basta che il tiro è partito da te, i numeri dei miei gol sarebbero molto, molto più grandi", si lamenta Boninsegna. Aggiunge: "Persi il mio terzo titolo assoluto di capocannoniere per un autogol che non lo era...". Difficile dargli torto.
Si decide tutto il 4 febbraio. L'Inter, rispetto all'andata, recupera Jair (che nel corso della gara sarà sotituito da Reif, mentre Suarez lascerà spazio a Corso). "Non fu semplice, il Barcellona ha nel suo Dna il non arrendersi mai e poi c'era un'ala col nome strano (Rexach, una delle colonne del team, attaccante tecnico ma anche di temperamento che giocherà di lì a qualche anno con Cruijff e Neeskens in un Barça stellare) che ci fece ammattire. Feci ancora gol all'inizio (18') ma l'ala spagnola pareggiò subito (29') e la gara restò in equilibrio fino al termine. A noi stava bene il pareggio: e passammo il turno". La corsa dell'Inter di Heriberto Herrera si fermò in semifinale con l'Anderlecht ma quel risultato resta tra le vittorie di prestigio nerazzurre. "E mi ha insegnato una cosa: quando incontri squadre così grandi, hai una sola possibilità per superarle: attaccarle. Non sono abituati a subire. In quei tre match, in certe fasi, noi ci comportammo così. Se invece indietreggi fai una frittata". E Bobo, sangue nerazzurro nelle vene, indica la strada ai suoi eredi: Milito, Balotelli, Etoo, Sneijder. "Ragazzi fortissimi, capaci di ogni cosa. E più fortunati di noi a quei tempi": Perché, Bonimba? "Perché nell'unica Coppa Campioni interista che disputai arrivammo fino in fondo, era il 1972, ma la finale era fissata in Olanda, praticamente in casa dell'Ajax. Invece adesso se si arriva all'atto finale si giocherà a Madrid e senza squadre spagnole. E, mi creda, non è poco...".
di Giovanni Marino; la Repubblica
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