venerdì 30 aprile 2010

Mourilandia

Novantanovemila persone che lo detestano. E lui là in mezzo, il dito verso il cielo, eccitato da quel rifiuto feroce. Un torero folle: ha ucciso il toro davanti a una mandria immensa. Camp Nou -scrivono i giornali spagnoli- diventa Camp Mou. Perché l’uomo è riuscito a cambiare il Barcellona: da club perfetto ed ecumenico a squadra acida e ansiosa. Ma -cosa ben più important - è riuscito a cambiare l’Inter. Sempre pazza, per fortuna, ma la pazzia adesso è calma, lucida e spietata. È vero, non ha vinto ancora nulla. Ma non ha perso ancora niente. Questo miracolo di maggio -comunque vada a finire -è merito di José Mourinho, personaggio allergico alle definizioni. L'ho chiamato torero, ma è banale. L’uomo ha invece lo stile e la grinta di un comandante sudamericano, uno di quelli che riunivano una banda di irregolari e la trasformavano in una formazione capace di vincere una guerra. Che Mou Guevara! Ma non diteglielo, altrimenti si fa crescere la barba e si compra un basco. Quali le qualità del buon comandante? Un buon comandante, nella giungla del calcio italiano, deve avere una preparazione -ora dico una parolaccia: una cultura- superiore alla media. I giocatori devono pensare che il capo sa le cose, non si limita a ripeterle o a indovinarle. Deve possedere «carisma e sintomatico mistero», per citare Battiato (che Mou conosce, potete giurarci). Non deve essere autoritario, bensì autorevole: l'unico modo di imporre la propria autorità. Ecco perché JM non poteva permettere lo sgarro di Balotelli: una crepa può portare al crollo. Altre caratteristiche del comandante Mou? La sincerità verso il gruppo. Una prova? Eccone due: età ed Eto'o.

Quando il centravanti, già vincitore di due Champions League, è rientrato dalla Coppa d’Africa, l'allenatore l'ha informato che «non avrebbe trovato un tappeto rosso»; così è stato, e Sammy ha dovuto riconquistarsi il posto. Quando, dopo l'assedio di Barcellona, ha spiegato le motivazioni dei suoi giocatori in vista della finale di Madrid, ha fatto notare che non erano ragazzi: si tratta, per loro, di un'occasione forse irripetibile. Su Corriere.it ascolto Diego Abantantuono mentre dice «È tutto merito dei giocatori, non di Mou». Come t'inganni, buon baffo rossonero! Ma non sei il solo. Le capacità istrioniche di JM -il tempismo delle battute, le pause teatrali- traggono in inganno. Molti osservatori sono convinti che quello sia il suo talento, mentre è solo un accessorio. L’uomo studia ossessivamente uomini, fatti e cose. In un Paese di geniali improvvisatori risulta strano, sospetto o tutt'e due le cose. Sì, Mou è un grande attore. Ma se glielo dici -ho provato- s’arrabbia. Sostiene che, in questo modo, i media italiani hanno provato a sminuirlo. Ho insistito, e lui ha accettato la discussione. L'uomo argomenta con abilità, e il suo italiano è migliore del suo inglese (efficace, ma elementare). Accetta anche d'essere contraddetto. Quando ho provato a discutere alcune cessioni dell’Inter, non mi ha affidato a Lucio perché mi spiegasse il significato della vita. Ha ribattuto colpo su colpo, con argomentazioni tecniche che mi lusingavano, ma non meritavo. Da quando è arrivato in Italia molti colleghi cercano di convincermi che l’uomo è insopportabile. Per fortuna, dico io: coi bonaccioni perdenti, noi dell’Inter, abbiamo già dato. In un mondo di abili agnelli, bisogna essere un po’ lupi. La determinazione feroce di Mou è così evidente che diventa qualcos’altro: carattere. Una macedonia di egocentrismo e altruismo, passione e calcolo, incoscienza e memoria, clausura e teatro, esempio e crudeltà. L’incontro di cui parlavo è avvenuto ad Appiano Gentile nell’autunno 2009: l’uomo, il suo stile e il suo progetto apparivano già evidenti.

Erano tempi difficili in Champions League -il palcoscenico che Mourinho considera adeguato e naturale- ma non sembrava minimamente preoccupato. Ora di pranzo, i giocatori divisi per tavoli, attenti e rispettosi come i bambini di Mary Poppins. Ricordo Samuel, Milito, Materazzi. Mou, nel tavolo vicino all’ingresso, mi spiegava tutti i motivi per cui non doveva darmi un’intervista. Ogni tanto qualcuno passava e salutava rispettosamente. Nessuno chiedeva «Posso alzarmi?», ma se fosse accaduto non mi sarei stupito. Qualcuno dirà: Severgnini, decida. Il suo Mourinho è Che Guevara o Mary Poppins? La risposta incredibile è: tutt'e due. Che Guevara con l’ombrellino o Mary Poppins col mitra. Non c’è dubbio che alcune delle sparate sull’ambiente siano parziali -l’uomo porta solo le prove che gli servono- e talvolta inopportune. Ma proviamo a chiederci: cos’è l’opportunità, nel calcio italiano? Forse il silenzio peloso dentro il quale, per anni, abbiano nascoste le cattive abitudini di tutti e i crimini di qualcuno? Resterà, Mou? Certo che no: ha la valigia pronta. L’epilogo della stagione, qualunque sia, fornirà occasioni perfette per chi vuol partire. Solo i giocatori -forse- possono convincerlo a restare un altro anno: ma non credo avverrà. Sarà un’uscita di scena drammatica, secca, indimenticabile: anche Capello (uno specialista in materia) rimarrà a bocca aperta. Dove andrà, José Mário dos Santos Félix Mourinho? Probabilmente a Madrid, dove già lo adorano -ha evitato l’incubo del Barça finalista al Bernabeu- e dove il 22 maggio andrà in scena il gran finale della sua seconda stagione nerazzurra. Vedete? Sembra un copione scritto per lui. Che José Guevara e Mary Mou Poppins! Sparerà una mitragliata d’aggettivi e decollerà con un ombrello milionario: e noi sotto, a salutarlo con la mano. Un'ascensione laica, l’unica consentita a un portoghese cattolico e borghese.

di Beppe Severgnini; CORRIERE DELLA SERA

giovedì 29 aprile 2010

Vamos a Madrid!!!

"E' la più bella sconfitta della mia vita."
Josè Mourinho

L'impresa

Eroica Inter, grande Mourinho, impresa immensa. Questa partita è stata il sigillo di questa squadra, ha confermato quanto avevamo detto durante tutta la stagione: un grande gruppo guidato con una cattivera positiva dal miglior allenatore del mondo. Mourinho ha una gestione dello spogliatoio straordinaria: attento, meticoloso, nulla lasciato al caso. E' il migliore per come gestisce l'aspetto psicologico della partita, sa sempre quello che serve perché i giocatori possano dare il massimo. Mourinho è unico nel trasferire su di se l'attenzione e la tensione degli eventi e lascia i giocatori liberi di dedicarsi completamente alla partita. E dopo una partita come quella del Camp Nou è facile fare la pagella dei giocatori interisti: dieci a tutti e pure con la lode. Non c'è uno che non ha dato il massimo e i movimenti difensivi sono stati perfetti. In dieci spesso si dice che si gioca meglio, ma poi si perde. L'Inter invece ha giocato bene e ha ottenuto quello che voleva. Ha perso, ma bloccando il Barcellona sino al 86' si è garantita la qualificazione. Io una partita cosi l'ho giocata, sempre in Spagna, al Bernabeu contro il Real Madrid che ci ha aggredito per 90' e so cosa voglia dire giocare in quella bolgia. Bisogna dare tutto, anche solo in fase difensiva. L'Inter lo ha fatto perfettamante e non importa se il portiere del Barcellona non ha fatto una parata. Una finale di Champions League vale le barricate.
Grande impresa dell'Inter, ma ho visto un Barcellona brutto, inconcludente, senza idee. Messi sempre prevedibile, Ibra irriconoscibile. Non ho capito perché Guardiola ha mandato via Eto'ò e preso Ibra, un giocatore che, è evidente, non va bene per il gioco della squadra spagnola. Certo è che Guardiola ha confessato l'errore commesso: quando stai in svantaggio e fai uscire il centravanti del calibro di Ibrahimovic, vuol dire che hai sbagliato.

da "VISTI DALL'ALA", di Massimo Mauro; la Repubblica

martedì 27 aprile 2010

Rimuginazioni

Solo noi che vogliamo bene a Balotelli possiamo dirgli che ha torto. E ha torto a prescindere. A noi, infatti, il merito non interessa, ma non ci può essere eccellenza senza autodisciplina, e nel calcio non esistono campioni senza squadra. È vero che lui e Mourinho si somigliano: l'uno è l'altro realizzato. Balotelli è Mourinho da giovane e Mourinho è quel che Balotelli dovrebbe diventare.

Insomma sono due magnifici campioni, entrambi sono fatti a fasci di luce, a fasci di nervi, a fasci di genialità. E sono entrambi irriducibili. Da settimane si fronteggiano, arroganti, insofferenti, poco raccomandabili, spavaldi e spacconi, tendono a irridere e a irritare. E magari sono così per un incontrollato eccesso di talento. Sono insomma come Orlando e Rinaldo, due pilastri di paladini della squadra di Carlo Magno: duellanti siamesi. E però Balotelli ha torto, e lo ribadiamo proprio perché ci è molto più caro di Murinho. Balotelli infatti è acerbo nei suoi 19 anni, è italiano ed è nero. E' il campione che mette in crisi la stupidità dei tifosi razzisti che gli fanno 'buuu'.

Quel che è accaduto tra i due è allo steso tempo banale e aggrovigliato. L'allenatore ha preso per la maglietta il giocatore e gli ha strappato la catenina che aveva al collo, l'altro lo ha mandato a quel paese, ma sono dettagli che non contano e non importa conoscere le parole che sono volate. Il punto è che Balotelli non accetta il ruolo di Mourinho, senza capire che la delegittimazione del capo danneggia tutta la squadra, Balotelli compreso. Tanto più che il giovane campione sta andando avanti per allusioni, per mezze frasi pronunziate in televisione, ha persino indossato la maglia del Milan ed è stata la più sciocca delle rivalse perché adombra il tradimento e quindi la slealtà. Infatti Berlusconi ha subito approfittato della confusione dei ruoli dicendo che Balotelli starebbe bene nel Milan. Sicuramente non è stato elegante con l'antagonista ben sapendo che le coabitazioni tra campioni sono difficili e sempre critiche. In qualsiasi squadra.

Parla come fosse l'agente 007, introduce misteri, segreti e complotti nel classico stile italiano che ispira le commissioni di inchiesta. E ha ripetuto che non si piegherà mai: "Non sono uno stupido da saltare cinque partite, ho ragione e non chiedo scusa. Non è stato solo un episodio, sono stati tanti. Ne parlerò quando tutto sarà passato". Ma avesse davvero ragione Balotelli dovrebbe comunque piegarsi alle ragioni della squadra e non attaccarsi al naufragio delle proprie. Indipendentemente da quel che ha fatto Mourinho, qui c'è infatti un gruppo di lavoro, c'è un'azienda, ci sono stipendi e investimenti fatti su di lui, sul suo futuro e sul futuro del calcio italiano. Balotelli non può permettersi l'anarchia che mortifica il suo valore, l'autoreferenzialità che lo rende cieco, l'arroganza che gli brucia gli orizzonti e gli fa squagliare la solidarietà dei compagni, di una squadra dove sono tutti campioni come lui e forse più di lui che ancora non ha vinto nulla perché è appunto giovane.

E' chiaro che Mourinho non può tornare indietro. Un capo non può farlo. E' così in qualsiasi azienda retta dall'unicità del comando. Ma Mourinho non può fare il sergente: rinunziare a Balotelli è una sconfitta dell'allenatore che è lì per gestire e governare tutti i suoi campioni. Il capo che si lascia prendere da troppo orgoglio - lo stesso del suo giovane sosia - macchia gravemente la sua funzione. Mourinho è obbligato a trarre il meglio dal meglio che ha. E' insomma vero, come sostengono i tifosi dell'Inter, che Balotelli senza Mourinho è un mercenario. Ma Mourinho senza Balotelli è un allenatore che ha fallito.

di Francesco Merlo; la Repubblica

lunedì 26 aprile 2010

Devozione

Un enorme grazie alla u.c. Sampdoria tutta.

INTER-Atalanta 3-1

Direi che si tratta della classica partita contro una squadra di bassa classifica: vinta, nonostante qualche sofferenza per la nostra sufficienza e superficialità nei primi minuti del primo tempo e della ripresa, sfruttando al meglio i minimi cambi di marcia. A Tiribocchi, lasciato colpevolmente libero da Materazzi, risponde Milito, poi raddoppia con Muntari (colpito dal tiro di Mariga), e chiude la pratica con un capolavoro di Christian Chivu, alla prima marcatura con la maglia nerazzurra. Da segnalare l'uscita dal campo di Sneijder nell'intervallo per un infortunio che non ci farà dormire sonni tranquilli da qui al match con il Barcellona; e la genuina pazzia di Marko Arnautovic, che, in un quarto d'ora, ha saputo farmi divertire alla grande, con giocate da autentico fuoriclasse.

mercoledì 21 aprile 2010

INTER-Barcellona 3-1 (VI)

Per capire il gesto di Balotelli vi chiedo solo un piccolo sforzo di fantasia: chiudete gli occhi e pensate di vivere uno dei momenti più importanti della vostra vita professionale. Ci siate arrivati dopo tanto lavoro, tesi perchè conoscete l'importanza dell'evento; arrabbiati perchè volevate essere protagonisti e invece siete diventati solo comprimari. Poi, nel momento più bello, una zolla di terra rovina tutto e 80 mila persone comiciano a fischiare. A fischiarvi. Questo è successo a Balotelli: al primo errore, un passaggio sbagliato per colpa del terreno e tutto San Siro ha cominciato a insultarlo. E qualcuno poi si sorprende della reazione di questo ragazzo di venti anni? Io lo difendo e lo capisco. Quella maglia gettata per terra, le offese al pubblico, sono stati gesti forti ed esagerati, ma proporzionati al momento, all'evento, alla tensione di una partita come Inter-Barcellona. Io ricordo quando giocavo quanto mi davano fastidio i fischi che arrivavano dopo una giocata non riuscita. Ero già arrabbiato per l'errore e quei fischi proprio non li sopportavo, non li capivo, se arrivavano dai miei tifosi.

Balotelli è un ragazzo di venti anni che ha bisogno di aiuto per crescere. E' un grande talento, forse il più importante del calcio italano ma è evidente che ha problemi con le regole, nel rapportarsi con il gruppo, nell'accettare ruoli e decisioni. Il talento lo gestisce lui, per il resto ha bisogno di qualcuno che gli dia una mano. Mourinho si è stancato di fargli da balia, ma vuole tutelare il giocatore: infatti domenca lo farà giocare per non bruciarlo. Al ragazzo, all'uomo, devono pensare i genitori, i fratelli e il suo procuratore: giorno dopo giorno. Purtroppo per diventare campioni i piedi non bastano.

da "VISTI DALL'ALA", di Massimo Mauro; la Repubblica

INTER-Barcellona 3-1 (V)

Una festa grandissima, uno stadio, quello di San Siro, acceso, ribollente e addirittura commovente per come ha portato l'Inter al successo più bello e incredibile di questi ultimi anni. 3-1 al Barcellona è un risultato importante, quasi storico, che determina il grande salto dell'Inter fra i grandi club internazionali. Anche se sarebbe stupido portare questa esaltazione troppo in là: il grosso del lavoro deve essere ancora compiuto e la finale di Madrid ancora tutta da conquistare. Per l'Inter non è certo impossibile adesso arrivarci, ma per il Barcellona - se non sarà quello irriconoscibile visto a San Siro - non è impossibile ribaltare quel risultato. Gioire ma non montarsi la testa e rimanere con i piedi a terra. Da oggi in poi il futuro della squadra di Mourinho più che dall'Italia - con lo scudetto che le viene conteso dalla Roma - passa per la Spagna. La settimana prossima il ritorno al Camp Nou: per passare, tutto sommato, basta non perdere male. E poi si spera, la finalissima di Madrid ora vicina più che mai.

Complimenti a Mourinho innanzitutto. Non sarà simpatico a molti, sarà arrogante ed eccessivo in qualche occasione, ma è un tecnico che ha dato all'Inter cuore e carattere e soprattutto una coscienza da grande squadra. L'Inter, così come contro il Chelsea, ha affrontato i campioni d'Europa, addirittura la squadra più forte al mondo si dice, da pari a pari, senza alcun timore, ben decisa a fare più gol possibile per arrivare al match di ritorno ben coperta, con buone chances insomma\di qualificazione alla finale. Non inganni l'iniziale gol di Pedro con cui il Barcellona è andato in vantaggio, l'Inter aveva avuto le sue palle gol con Milito e aveva subito occupato il campo per far vedere chi era il padrone di casa, per far vedere che non c'era alcun timore riverenziale. Il Barcellona cercherà di ripagarla con la stessa moneta al ritorno.

Il grande protagonista della serata è stato l'argentino Milito dell'Inter e non l'argentino Messi del Barcellona. I pronostici sono stati rovesciati: l'argentino con la maglia nerazzurra è stato perfetto, quello in maglia rosa (mamma mia che colori...) è stato incredibilmente nullo e fuori partita. Capita anche ai grandissimi. Milito è arrivato a segnare il suo 23° gol in 43 partite, mentre Messi, proprio nella serata in cui serviva di più, non è riuscito ad incrementare il suo già strabiliante record di 40 gol in 46 partite. Abbiamo guardato bene in campo, ma non abbiamo visto gabbie, non abbiamo visto giocatori affannarsi disperatamente nella sua marcatura. Il grande campione è stato affrontato marcandolo come uno dei tanti, Cambiasso quando capitava, ma poi poteva toccare a Motta a Zanetti o anche a qualcun altro. Messi - insieme ad Ibrahimovic - è stato la sorpresa in negativo di questa partita. La sensazione è che non funzioni proprio la coppia con Ibra, che quando c'è lo spilungone svedese a fare da tappo vada in difficoltà, che non si senta sufficientemente libero. In ogni caso se ha giocato male Messi, altrettanto male ha giocato Ibrahimovic. L'Inter da questo punto di vista è stata fortunata certamente, non era sicuramente il Barcellona che ha distrutto l'Arsenal. Ma un po' di fortuna bisogna pure meritarsela, e l'Inter se l'è più che meritata.

La partita nella sostanza è stata spaccata esattamente a metà. Dopo il pareggio del primo tempo, nella ripresa l'Inter è tornata in campo chiudendo la partita in meno di un quarto d'ora. Contropiedi velocissimi e anche giocatori molto più determinati: il Pandev che all'inizio sembrava un po' sbandato nella ripresa è cresciuto tantissimo, e così Milito che sembrava aver perso il suo veleno sottoporta si è reso utilissimo prima come assist-man e poi anche come goleador. Lucio ha fatto una partita di commovente bellezza per l'impegno e per le splendide acrobazie, Maicon ha riscattato il brutto errore di essersi fatto sfuggire Maxwell sul gol del Barcellona, Samuel ha tenuto salda la difesa, Cambiasso come al solito ha fatto una quantità enorme di lavoro a centrocampo oltre che annullare il tiratore avversario più pericoloso, Eto'o che pure non ha segnato è comunque andato al tiro e si è proposto come assist man. Julio Cesar rimasto poco impegnato per un'ora è stato perfetto e grandioso in alcuni interventi di pugno e che hanno contribuito alla vittoria né più né meno dei gol di Sneijder, Maicon e Milito.

Unico giocatore assolutamente fuori partita, in maniera incredibile e clamorosa, Balotelli entrato negli ultimi venti minuti al posto di Milito. Uno psicodramma davanti a 80mila persone. E' riuscito a entrare, a sbagliare tutto e a litigare col pubblico. Tutta una sequenza di gestacci e di segni di insofferenza. E' uscito tra i fischi sbattendo la maglia a terra. E' stato un finale incredibile, choccante, in assoluto contrasto con tutta la partita. E' stata anche la sera in cui si è probabilmente deciso il divorzio tra l'unico attaccante italiano dell'Inter (unico italiano in assoluto in questa partita...) e la società che ne ha fatto un campione. Rimasto però ancora fortemente acerbo a livello di testa. Inspiegabile e assurdo, ma è così.

Mou continua nella sua imbattibilità casalinga che dura dal 2002. Diversamente da quando trovò il Barcellona nella prima partita del girone (0-0), l'Inter è stata subito aggressiva. Da allora è una squadra che è cambiata molto, che ha rinunciato molto in campo nazionale, ma che ha fatto progressi notevoli in campo internazionale. E' stata una scelta controversa, e mai del tutto espressa, ma che ha avuto una sua logica. Potrebbe pagare ulteriormente a livello di lotta scudetto l'Inter se dovesse effettivamente arrivare in finale (non tanto nel prossimo turno di campionato, forse, visto che gioca con l'Atalanta...), ma che ha una sua assoluta logica. L'Inter è in corsa su tutti i fronti: potrebbe andare, per dirla alla Mourinho, da "tre tituli" a "zeru tituli". Forse non è nemmeno questione di scegliere, ma di affrontare gli impegni così come arrivano. Di certo l'occasione di riportare a Milano quella Coppa che manca ormai da 45 anni è troppo importante e comincia a diventare sempre meno un sogno.

di Fabrizio Bocca; la Repubblica

Sviluppi

Mou "perdona" Balotelli, che giocherà con l'Atalanta: Mario dimostri di aver capito, ed il pubblico gli dia un'altra occasione sostenendolo. Siamo tutti sulla stessa barca... e che barca!!!

INTER-Barcellona 3-1 (IV)

INTER-Barcellona 3-1 (III)

Uno stadio fantastico è stata la degna cornice di una delle imprese più belle del calcio italiano. L'Inter non è ancora in finale perchè contro il Barcellona mai dare nulla per scontato, ma questa serata nessuno potrà mai toglierla ai tifosi interisti e a tutti gli appassionati di calcio italiani senza esclusioni di tifo.
Difficile dire chi è stato l'uomo più determinante ma certamente posso dire chi è stato il più furbo: Mourinho. Ha aspettato il Barcellona, lo conosceva bene, sapeva che la presunzione poteva essere letale alla squadra di Guardiola. Gli spagnoli non resistono: gli dai metri di campo e loro si buttano dentro, tentano le giocate, tutti a cercare il gol. Magari dimenticando quanto di tattico avrà predicato Guardiola nel preparare la partita. E Mourinho così l'ha battuto. In campo è arrivata un'Inter umile e intelligente. Ha avuto pazienza, ha fatto giocare il Barcellona per poi colpire con ripartenze micidiali. Non vorrei esagerare ma sono sicuro che a Mourinho non è dispiaciuto neanche il vantaggio del Barcellona: sapeva che poi non avrebbero resistito a cercare la goleada.

Poi metto a confronto due giocatori: Messi e Sneijeder. L'argentino è sparito, non si è mai visto (solo un tiro pericoloso), un'ombra. L'olandese è geniale, come al solito nelle partite che contano. Non solo grande tecnica ma grande sofferenza in mezzo al campo e sempre pronto e lucido per la giocata giusta. Un giocatore completo, moderno e fondamentale in una squadra che vuole vincere. Chi è il vero fenomeno?

Ma come dimenticare Milito, due assist e un gol, costretto ad uscire per crampi dopo i chilometri e gli scatti che ha dovuto fare. E le incursioni di Maicon, con quel gol che è un gioiello di tecnica (nel controllo). Non ho contato i palloni che hanno recuperato Thiago Motta, Zanetti, Lucio e Samuel. E i dribbling di Pandev.
Ora Mourinho ha un grande lavoro da fare: conservare in questi sette giorni la stessa umiltà e intellligenza. Da Barcellona ora Madrid non è molto lontana.

da "VISTI DALL'ALA", di Massimo Mauro; la Repubblica

INTER-Barcellona 3-1 (II)


Mario, è vero, hai sbagliato, ma perché ti hanno voluto fischiare? Dimentichiamocene, e ricorda che sbagliando si impara.

INTER-Barcellona 3-1

Che impresa!!!
Madrid è sempre più vicina...

martedì 20 aprile 2010

Ironia

Ma cos’avrà mai fatto, il Pupone, per scandalizzare mezza Italia? Si è forse prodotto in qualche gesto o espressione scurrile? Macché. Totti ha solo irriso gli sconfitti del derby, abbassando i pollici per augurare loro la serie B. Non un comportamento da sportivo. Ma da tifoso sì. Il tifo è la rivisitazione delle nostre infanzie. Una seduta pubblica di psicanalisi, tollerata finché qualcuno non si mise in testa che gli sfottò dei tifosi fossero la causa scatenante delle violenze degli ultrà. Che è come imputare i delitti di un serial killer alle zingarate di «Amici miei».

Il violento è violento perché prende tutto sul serio, soprattutto se stesso. Eppure, per non eccitare la suscettibilità di gente manesca e disperata a cui andrebbe semplicemente vietato di riunirsi in club organizzati, si pretende di trasformare il calcio in una palestra di buoni sentimenti, estirpando quell’effetto di macchina del tempo che ci permetteva di andare allo stadio per evadere dalla realtà con lo sberleffo malizioso del bambino. Ricordo quando il mio Pulici entrava in campo nei derby pulendosi le scarpe su uno striscione che raffigurava una zebra con la scritta: «La pietà». O, con molto meno piacere, quando lo juventino Maresca mostrò le corna ai tifosi del Toro dopo un gol. Nessuno azzardò un nesso fra quei gesti e l’uso di spranghe e motoseghe. La strafottenza era ancora parte del gioco. Come le interviste dissacranti dell’interista Prisco: «Se un milanista mi dà la mano, poi me la lavo. Se me la dà uno juventino, poi mi conto le dita». Oggi lo squalificherebbero a vita.

di Massimo Gramellini; LA STAMPA

lunedì 19 aprile 2010

Isteria

La Lazio conduce di un goal sulla Roma con rete di Rocchi nel primo tempo. Siamo a inizio ripresa, calcio di rigore per fallo di Cassetti su Kolarov: Floccari sul dischetto, tiro, parata di Julio Sergio. La Roma inizia a giocare, pareggia con rigore di Vucinic, e va in vantaggio con una punizione dal limite del montenegrino, con quel genio di Brocchi che si toglie dalla barriera. La partita continua, la Roma intensifica la sua principale abilità: l'ostruzionismo e l'antisportività, per arrivare al noventesimo. Toni, quasi 100 kg, sviene appena viene toccato da un sospiro di un laziale, ma, d'altra parte, non si rifiuta di picchiare, Perrotta si comporta analogamente, Menez cade a terra invocando falli che non si fischierebbero neanche ad una bambina di 10 anni, e Totti, alla fine di una partita vinta senza merito, e grazie alla sua uscita dal campo, fa strani gesti alla sua curva, atti a prendere per il culo l'avversario. Reja, più o meno provocatoriamente, chiede 10 giornate al capitano giallorosso.
Caro Edy, Totti, nel bailamme romano, è tra quelli che si è comportato meglio o, se preferisci, meno peggio. Io piuttosto mi arrabbierei molto di più con il modo scorretto di giocare di Luca Toni, ben peggiore della furbizia alla Inzaghi.

sabato 17 aprile 2010

Strappo alla regola

Fossi un giovane allievo delle scuole contemporanee di giornalismo non mi permetterei un articolo come questo. Una delle prime regole che viene suggerito di adottare -mi dicono- è infatti quella di iniziare occupandosi del vincitore. Mi è accaduto invece, nel corso del pomeriggio tv trascorso nell'ombra del mitico Tommasi, di entusiasmarmi, e più di una volta, per il tennista che ha finito col perdere il match, Jo Wilfried Tsonga. Francese di ascendenza congolese, Jo ha certo approfittato della invidiabile organizzazione scolastica del tennis francese, ricopiata dalle ammirevoli strutture della grande Ecole Polytechnique. Ma, più di questa educazione tennistica, sembrano assisterlo altri talenti. La sua creatività non è infatti minore delle sue qualità atletiche, degne di un fenomeno del basket, ma non solo. Quel che pare distinguerlo da altri, sempre più omologati, addirittura robottizzati, sono i mutamenti gestuali e creativi. Per ragioni legate non soltanto a scelte tecniche, quanto a ribaditi infortuni, Tsonga non si era, sin qui, visto spesso sui campi rossi, che non sembrano il palcoscenico più adatto alla sua recitazione. E tuttavia, mi facevano notare alcuni eccellenti colleghi francesi, si sarebbe potuto, in vari modi, paragonarlo a un altro grande francese di ascendenze coloniali, Yannick Noah. Anche lui pronosticato specialista da terreni rapidi, grazie alla sua inclinazione aggressiva ed aerea: e, alla fine, vincitore proprio sui fondi meno adatti, le sabbie di Parigi e di Roma. Oggi questo ragazzone che si è comunque insediato tra i Primi Dieci aveva di fronte un tipo che di sabbia rossa se ne intende, quel Juan Carlos Ferrero detto "Mosquito", che dalle altezze del n. 1 era retrocesso nei baratri della classifica, ma che si sta ora incredibilmente riprendendo. Iniziata in modo scoraggiante, il match di Tsonga si è ravvivato nel 2° set con alcune affascinanti invenzioni, che spingevano spesso il mio partner tva equivocare sul suo nome, inconsciamente confuso con quello dell'avo Noah. L'ammirevole ritorno in partita di Jo si spegneva, purtroppo, sul traguardo, nell'istante in cui la sua creatività veniva prosciugata da quella carta assorbente dello spagnolo. Sarebbe quindi più corretto che il vecchio scriba si fosse dedicato al ritorno di Ferrero, invece che entusiasmarsi per il gioco dello sconfitto. Ma sono convinto di non sbagliarmi, nell'attendere qualche successo che consenta a tutti di occuparsi con attenzione dell'ammirazione per il nuovo Noah.

di Gianni Clerici; la Repubblica

Omaggio a Maicon Douglas Sisenando


Quant'è forte Maicon!!!

INTER-Juventus 2-0

Un match non brutto, ma poco spettacolare, sbloccato da una prodezza di Maicon, autore di un goal da fuoriclasse assoluto, che solo un brasiliano avrebbe fatto. L'Inter, prima della sua rete, aveva collezionato, sfruttando anche l'inferiorità numerica della Juve, senza l'ingenuo Sissoko dal 37° del primo tempo, occasioni ed errori clamorosi sotto porta, soprattutto con Eto'o e Milito, che si è divorato diversi goal, di cui uno a porta vuota. Dopo la rete di Maicon, invece, ad un quarto d'ora dalla fine, Balotelli, subentrato ad un inconsistente Pandev a inizio ripresa, ha colto una traversa clamorosa su punizione, disegnando una traiettoria perfetta, mentre nel secondo minuto di recupero Eto'o, servito da una ciabattata di Muntari, da poco entrato in campo, realizza nell'area piccola il raddoppio.

venerdì 16 aprile 2010

Amarcord

"Fu tosta, ma vincemmo contro gli spagnoli. Ed è una delle soddisfazioni che ancora oggi porto con me". L'unico nerazzurro ad aver battuto il Barcellona segnando sia all'andata che al ritorno (e nel mezzo, addirittura in una terza gara sospesa per nebbia, quindi una tripletta di fatto), ha sempre avuto un destino nel nome: Roberto Boninsegna. Il terzo capocannoniere assoluto nella storia centenaria interista riuscì nell'impresa nel suo primo anno con l'Inter. Correva il 1970 e Bonimba, come ancora oggi lo chiamano i suoi inossidabili fans, era appena approdato alla corte del presidente Fraizzoli. "Fu un grande momento, il Barça è, da sempre, una delle migliori formazioni del mondo", dice senza fronzoli, quasi brusco, com'è nel carattere di questo ex centravanti che nella vita e nella carriera si è sempre fatto rispettare andando avanti da solo, a suon di portieri battuti e stopper beffati. Senza raccomandazioni, sponsor e con poca diplomazia, ma con tanta, tanta sostanza in campo. Lui, nato nell'Inter, innamorato dell'Inter, tornava a casa. (Ri)acquistato dal Cagliari di Gigi Riva e non per due soldi. Ai rossoblu andarono tre calciatori del calibro di Domenghini, Gori e Poli. E in quel '70 lo scambio sembrò dare ragione ai sardi che vinsero il primo, unico, clamoroso scudetto proprio davanti ai lombardi. Ma i sette anni di Boninsegna milanese avrebbero poi riequilibrato quel giudizio: con il numero nove al centro dell'attacco, la squadra di Gianni Invernizzi vinse in eclatante rimonta il tricolore dell'anno seguente; quindi raggiunse l'ultima finalissima di Coppa Campioni arrendendosi solo all'Ajax del divo Cruijff e il bomber conquistò per due volte il titolo assoluto di capocannoniere (in anni in cui c'era da giocarsela con attaccanti fenomenali, qualche nome: Gigi Riva, Paolino Pulici, Giorgio Chinaglia, Pietro Anastasi, Luciano Chiarugi, Pierino Prati) . "Diciamo che lo scambio andò bene sia all'Inter che al Cagliari, alla fine", taglia corto Roberto, quasi dovesse liberarsi con una gomitata di un difensore assillante sotto veste di una domanda non proprio gradita.

Ma andiamo a quella sfida in Coppa delle Fiere. "Non si può dimenticare, ma i dettagli beh, è roba di quaranta anni fa, non chiedetemi di rammentare tutti i particolari", gioca d'anticipo il goleador che unisce diverse generazioni di tifosi (anche grazie ai filmati di YouTube che lo mostrano ancora oggi ai più giovani nelle sue acrobazie in area di rigore). Le cronache dicono che il 14 gennaio 1970 si giocavano gli ottavi di finale della prestigiosa Coppa delle Fiere - oggi assimilabile all'Uefa League - e che l'Inter era attesa a Barcellona nel celebre Nou Camp. Si va in campo in una Spagna ancora dominata dal franchismo ma dove Francisco Franco, appena un anno prima, aveva nominato il suo erede in Juan Carlos I di Borbone (che alla sua morte, nel 1975, sarebbe stato incoronato re). L'Inter gioca dunque in uno dei tempi del grande calcio. E qui Bonimba ti sorprende per la nitidezza di certi ricordi: "Quello stadio era da brividi. Mamma mia, ti perdevi a girarlo tutto. Ce lo fecero visitare perché era un gioiello, c'era persino una piccola chiesa, lì dentro. E poi gli spalti, l'accuratezza degli spogliatoi, il lungo sottopassaggio, insomma, tutto ti intimoriva già prima di calcare il prato". Intimoriti, voi? "No, no, che c'entra, dicevo in generale perché noi personalmente non eravamo tipi da disorientarci troppo, tanto che una volta in campo prima io e poi Mario Bertini andammo in gol". Già, difficile immaginare grossi imbarazzi in una formazione che nel match iberico schierava Vieri, Burgnich, Facchetti, Bellugi, Landini, Cella, Suarez, Mazzola, Boninsegna, Bertini, Corso. C'era ancora un bel po' di Grande Inter, insomma. "La buttai dentro quasi subito - continua Bonimba - poi loro ci ripresero e Mario (Bertini, ndr), ci riportò in vantaggio. Credo tutto nel primo tempo. Nella ripresa fu un assedio ma la nostra difesa difficilmente prendeva due gol in una stessa partita...". Quasi perfetta la sua ricostruzione: gol di Bobo al settimo, pari della mezzala Fustè al ventesimo e nuovo soprasso nerazzurro al trentaduesimo. Inutile predominio blaugrana nel secondo tempo e qualificazione che prende la strada di Milano. "C'erano parecchi nostri tifosi e fecero una festa incredibile per le ramblas, ma io sapevo che sarebbe stata ancora dura. Se c'era ancora il franchismo? Sinceramente rammento solo che quella sera la Spagna mi sembrò bellissima". Succede quando si vince su un campo che ha fatto la storia del football.

Poi Bonimba ha un lampo: "Aspetta un attimo: ma se non ricordo male giocammo tre volte contro il Barça". Tre volte? "Sicuro, una fu sospesa per nebbia ma eravamo in vantaggio e indovinate di chi era il gol? Mio...". Un precedente sparito da tutti gli almanacchi. Ma Bobo ha ragione, come testimonia il più completo (e incredibile) archivio informatico sulla storia dell'Inter che si deve a un ragioniere, Tommaso De Lorenzis, ideatore di www. storiainter. com, un diluvio di dati, formazioni, notizie, immagini, match ufficiali e amichevoli, imperdibile per un interista. La partita rinviata si disputò il 28 gennaio 1970 e Bonimba al quindicesimo siglò il vantaggio lombardo. Inutile perché, implacabile, la nebbia al trentatreesimo mise fine alla contesa. "Gol non conteggiati perché c'era la nebbia o la neve, gol non conteggiati perché c'era stato il 2 a 0 a tavolino per intemperanze del pubblico, gol non conteggiati per ininfluenti deviazioni che li trasformavano in autoreti: sinceramente me ne sono state sottratte molte di segnature e con i regolamenti odierni, dove ti attribuiscono la rete basta che il tiro è partito da te, i numeri dei miei gol sarebbero molto, molto più grandi", si lamenta Boninsegna. Aggiunge: "Persi il mio terzo titolo assoluto di capocannoniere per un autogol che non lo era...". Difficile dargli torto.

Si decide tutto il 4 febbraio. L'Inter, rispetto all'andata, recupera Jair (che nel corso della gara sarà sotituito da Reif, mentre Suarez lascerà spazio a Corso). "Non fu semplice, il Barcellona ha nel suo Dna il non arrendersi mai e poi c'era un'ala col nome strano (Rexach, una delle colonne del team, attaccante tecnico ma anche di temperamento che giocherà di lì a qualche anno con Cruijff e Neeskens in un Barça stellare) che ci fece ammattire. Feci ancora gol all'inizio (18') ma l'ala spagnola pareggiò subito (29') e la gara restò in equilibrio fino al termine. A noi stava bene il pareggio: e passammo il turno". La corsa dell'Inter di Heriberto Herrera si fermò in semifinale con l'Anderlecht ma quel risultato resta tra le vittorie di prestigio nerazzurre. "E mi ha insegnato una cosa: quando incontri squadre così grandi, hai una sola possibilità per superarle: attaccarle. Non sono abituati a subire. In quei tre match, in certe fasi, noi ci comportammo così. Se invece indietreggi fai una frittata". E Bobo, sangue nerazzurro nelle vene, indica la strada ai suoi eredi: Milito, Balotelli, Etoo, Sneijder. "Ragazzi fortissimi, capaci di ogni cosa. E più fortunati di noi a quei tempi": Perché, Bonimba? "Perché nell'unica Coppa Campioni interista che disputai arrivammo fino in fondo, era il 1972, ma la finale era fissata in Olanda, praticamente in casa dell'Ajax. Invece adesso se si arriva all'atto finale si giocherà a Madrid e senza squadre spagnole. E, mi creda, non è poco...".

di Giovanni Marino; la Repubblica

giovedì 15 aprile 2010

Tutto va a rotoli?

Dentinho, calciatore del Corinthians,
ha la sua ricetta.

Il debuttante

Danny Rose, 20 anni da compiere a luglio.
Vi esorto a cercare il video del suo goal:
ha aperto le marcature in
Tottenham-Arsenal 2-1.

BRANCAleone


  • Nikola Kalinic (Blackburn Rovers): prima punta croata molto giovane (classe 1988), e soprattutto completa, moderna. Un attacante che in questo ricorda un certo Diego Milito, cui assomiglia anche fisicamente. Un giocatore piacevole da veder giocare, e che gioca semplice, facendo la cosa giusta al momento giusto, servendosi e del suo istinto e della sua intelligenza, proprio come il Principe Milito. Potrebbe essere assai utile per noi, per permettere di rifiatere maggiormente ai titolari, e sarebbe, in fondo, l'unico alter ego del nostro caro bomber argentino. Altro punto a suo favore, almeno per ora, perché prima o poi esploderà, è il prezzo.
  • Gareth Bale (Tottenham): giocatore fantastico, terzino o esterno sinistro di centrocampo, potrebbe fare anche l'ala. E' ormai superfluo descriverlo: lo si conosce, anche se è nato solo nel 1989, in Galles. Bisogna sbrigarsi e perché continua ad aumentarne il valore e perché prima o poi qualcuno se lo porterà via. E' l'evoluzione di Ryan Giggs: mica male. Questo è un vero fuoriclasse.

Fiorentina-INTER 0-1

La rivincita è riuscita: siamo in finale. Discreta partita, buona prestazione in particolare nella ripresa, in cui abbiamo trovato il goal grazie a Samuel Eto'o, splendidamente servito da Thiago Motta (si vede che ha giocato nel Barça). Tatticamente mi ha colpito la presenza di Maicon a centrocampo, una soluzione che aspettavo da anni, che credo sia stata provata per la sfida col Barcellona, ma che, con la presenza fissa di Santon possa essere usata sempre. Tra i migliori, come spesso accade, c'è Mario Balotelli, autore soprattutto di una spettacolare conclusione dai 30 metri su cui l'ottimo Frey si è opposto giusto con la punta delle dita, deviando la sfera in corner. Venendo a te, caro Mou, mi ha lasciato perplesso l'ingresso del Principe per lo stesso Balotelli, e tu capirai perché.

lunedì 12 aprile 2010

Avviso

Avrete notato senz'altro, con vostro sommo dispiacere, che per diversi dì non ho scritto nulla: me ne scuso, e comunico che non mi riguarderò di quanto è accaduto nelle precedenti giornate.