venerdì 28 ottobre 2011
domenica 23 ottobre 2011
giovedì 20 ottobre 2011
Ago
Non era un tipo facile. Ma è stato unico. Non era amore. Erano viscere. Agostino Di Bartolomei e la Roma. Più forte di qualunque tradimento perché per quelli come lui c'è sempre un perdono (Tradimento e perdono è la canzone che gli dedicò Venditti). Il 31 ottobre, nella Sala Petrassi dell'Auditorium, alla Festa del cinema di Roma, verrà proiettato 11 metri, il docufilm col quale Francesco Del Grosso ha cucito talento e misteri della sua vita, la semplicità ("il calcio è semplicità", scriveva Agostino) e la potenza. Calciatore "serio", uomo sedotto dallo "spleen", Ago si è suicidato a 39 anni, 17 anni fa. Parlano i suoi amici, i compagni di squadra, i massaggiatori, i medici, i sindaci. La moglie Marisa che incontrò ad una festa noiosa. Il figlio Luca che lo chiama Ago: "Con un gesto stronzo mio padre mi ha lasciato il vuoto ma mi ha insegnato ad amarlo". Quando esultò dopo aver segnato il gol del 2-1 Ago aveva la maglia rossonera perché qualcuno a Roma gliene aveva strappato di dosso un'altra, costringendolo a traslocare. Si giocava Milan-Roma. I romanisti si sentirono a loro volta traditi. Al ritorno lo fischiarono. Lui rischiò di prendersi a pugni con Graziani. L'Olimpico si divise. Ma non per molto.
Agostino è rimasto Agostino. Con la sua parlata a singhiozzo e quegli occhi scuri che guardavano un punto sempre troppo lontano per capire cosa fosse e sempre troppo vicino per essere messo a
fuoco. Un atleta così diverso dai mercenari in mutande, così simile a certi scrittori, o cantautori, o pittori, che sono morti giovani e che per questo è difficile immaginare anziani (Nick Drake, Arthur Rimbaud, Caravaggio). È stato il capitano dello scudetto dell'83. La sua identificazione con la città era totale. Ago era la gente. Con Liedholm condivideva la cultura. Parlavano di tutto, soprattutto di quadri: "Andavano insieme per musei trascinando anche me", ricorda Righetti nel film. Soffriva anche in quei giorni? Non lo sapremo mai. Certo stupisce ancora la sua riluttanza alla gioia. Nei ristoranti, con la squadra, rimaneva sempre in disparte. Nelle interviste era come se gli fosse appena morto il gatto. Dopo la sua rete più importante, il rigore realizzato contro il Dundee nella semifinale di Coppa dei Campioni, si limitò a disincagliare il pallone dalla rete e portarselo a centrocampo. Come a dire: "Non la facciamo troppo lunga". "Oooh Agostino! Ago-Ago-Ago-Agostino, gol!", intonava la Sud.
Si parla tanto di bandiere. Lui lo è stato. Da ala destra si trasformò in centrale di difesa, nell'uomo in più che ispirò Paolo Sorrentino per il suo primo film. Delle sue punizioni a Roma si diceva che le tirasse anche "da casa sua", anche da 35 metri. Senza di lui la Roma del Barone sarebbe stata meno compatta. Sopportò che per affetto lui e Prohaska venissero ribattezzati "lenti a contatto". Non gli importava. Si lamentava che la Roma lo avesse costretto a scappare (persino Renato Guttuso si espose per evitarne la partenza) e non lo avesse mai più cercato: "Il suo spessore intellettuale avrebbe fatto bene alla Roma", ammette l'attuale ds giallorosso Sabatini. Che promette: "La nuova Roma sfrutterà il patrimonio culturale di Agostino. Per dare una svolta al modo di avvicinarsi al calcio, di viverlo. In nome dei giovani e non solo".
Si ritirò dopo aver riportato in B la Salernitana. Era convinto che il calcio non lo volesse più. Aveva ragione. Era troppo integro. Non accondiscendeva. Che gli affidassero degli incarichi importanti era impossibile almeno quanto un asceta cattolico potesse aspirare ad avere un ruolo nelle prime società calviniste. Bearzot non lo chiamò mai in Nazionale. Lui non disse nulla. Come quando si sparse la voce che avesse appeso al muro Falcao dopo la sconfitta col Liverpool. Ago si portava dietro i profumi e i sentimenti della fanciullezza, della pozzolana, di quando giocava alla Chiesoletta, o sulla spiaggia del Lido di Cincinnato o sul campo dell'Omi a Tormarancia, dove lo pescò Trebiciani. Sua moglie Marisa: "Forse dopo aver smesso doveva essere più coraggioso". Ago ci stava provando. Da pensionato sognava una scuola calcio. Avrebbe voluto costruire una Trigoria a Castellabate (il paese di Marisa, recente location di Benvenuti al sud), nel Cilento, dove ormai viveva. Qualcuno deve avergli sbattuto la porta in faccia. Tanti anni prima lo avevano rapinato in un ristorante sull'Ardeatina: prese il porto d'armi e da quel giorno dentro il suo borsello (per cui molti lo prendevano in giro) c'è sempre stata una Smith & Wesson calibro 38. A portata di crisi: "Si sentiva minacciato", racconta un suo amico. La porta in faccia deve aver contribuito a caricare quell'arma. Sappiamo tutto delle formidabili coincidenze. Agostino si è ucciso 10 anni dopo Roma-Liverpool, la mattina del 30 maggio del '94. Quel giorno l'Ago della bilancia si è spostato verso la parola fine. Invocando l'ultimo perdono.
Si parla tanto di bandiere. Lui lo è stato. Da ala destra si trasformò in centrale di difesa, nell'uomo in più che ispirò Paolo Sorrentino per il suo primo film. Delle sue punizioni a Roma si diceva che le tirasse anche "da casa sua", anche da 35 metri. Senza di lui la Roma del Barone sarebbe stata meno compatta. Sopportò che per affetto lui e Prohaska venissero ribattezzati "lenti a contatto". Non gli importava. Si lamentava che la Roma lo avesse costretto a scappare (persino Renato Guttuso si espose per evitarne la partenza) e non lo avesse mai più cercato: "Il suo spessore intellettuale avrebbe fatto bene alla Roma", ammette l'attuale ds giallorosso Sabatini. Che promette: "La nuova Roma sfrutterà il patrimonio culturale di Agostino. Per dare una svolta al modo di avvicinarsi al calcio, di viverlo. In nome dei giovani e non solo".
Si ritirò dopo aver riportato in B la Salernitana. Era convinto che il calcio non lo volesse più. Aveva ragione. Era troppo integro. Non accondiscendeva. Che gli affidassero degli incarichi importanti era impossibile almeno quanto un asceta cattolico potesse aspirare ad avere un ruolo nelle prime società calviniste. Bearzot non lo chiamò mai in Nazionale. Lui non disse nulla. Come quando si sparse la voce che avesse appeso al muro Falcao dopo la sconfitta col Liverpool. Ago si portava dietro i profumi e i sentimenti della fanciullezza, della pozzolana, di quando giocava alla Chiesoletta, o sulla spiaggia del Lido di Cincinnato o sul campo dell'Omi a Tormarancia, dove lo pescò Trebiciani. Sua moglie Marisa: "Forse dopo aver smesso doveva essere più coraggioso". Ago ci stava provando. Da pensionato sognava una scuola calcio. Avrebbe voluto costruire una Trigoria a Castellabate (il paese di Marisa, recente location di Benvenuti al sud), nel Cilento, dove ormai viveva. Qualcuno deve avergli sbattuto la porta in faccia. Tanti anni prima lo avevano rapinato in un ristorante sull'Ardeatina: prese il porto d'armi e da quel giorno dentro il suo borsello (per cui molti lo prendevano in giro) c'è sempre stata una Smith & Wesson calibro 38. A portata di crisi: "Si sentiva minacciato", racconta un suo amico. La porta in faccia deve aver contribuito a caricare quell'arma. Sappiamo tutto delle formidabili coincidenze. Agostino si è ucciso 10 anni dopo Roma-Liverpool, la mattina del 30 maggio del '94. Quel giorno l'Ago della bilancia si è spostato verso la parola fine. Invocando l'ultimo perdono.
di Enrico Sisti; la Repubblica
mercoledì 19 ottobre 2011
Calma e gesso
E' un'ovvietà, ma è anche la sintesi estrema di questa Inter, l'origine dei suoi problemi e dei suoi affanni: "Non siamo al 100%, né lo saremo presto. Dobbiamo gestire questa fase, cercando di portare i giocatori al massimo della forma ma continuando ad affrontare i nostri impegni". E' appena terminata Lille-Inter, grazie al gol di Pazzini e alla buona prova del collettivo il sorriso è meno tirato rispetto alla vigilia, così Ranieri può distendersi e raccontare i suoi problemi: "Abbiamo bisogno di ritrovare la condizione migliore, tutti insieme. Pian piano ci riusciremo, ma il momento rimane delicato, dobbiamo fare attenzione. La vittoria col Lille è meritata, la squadra mi è piaciuta, però c'è ancora molto da lavorare". Perché il problema principale dell'Inter è proprio lo stato di forma generale, la condizione atletica che non è omogenea.
E' stata un'estate particolare, che ha condannato tutti alla precarietà: la Supercoppa da giocare a Pechino il 6 agosto, la Coppa America per tutto il mese di luglio, i tanti infortuni non hanno permesso di svolgere un'adeguata preparazione atletica. Per questo Gasperini, al di là dei suoi errori di valutazione (uno su tutti: aver preferito questo Milito a questo Pazzini), non ha mai avuto tra le mani una squadra brillante, ed è rapidamente affondato; per questo Ranieri, dopo un buon avvio, ha inciampato rovinosamente su Napoli e Catania, prima di riprendersi in Francia. Perché i giocatori non hanno ancora una condizione ottimale, o uguale per tutti.
L'Inter parte sempre bene, poi si affloscia nel secondo tempo. Oppure spesso si nota la mancanza di freschezza di alcuni elementi, soprattutto i più anziani, quando il ritmo si alza. Non sono ancora al top, gli interisti, nessuno di loro. Tutti, a parte l'innaturale Zanetti - che per certe cose non fa testo - hanno accusato infortuni più o meno lievi che ne hanno ritardato o interrotto la preparazione, e risalire è difficile quando la stagione entra nel vivo, perché non ti puoi allenare con continuità a causa dell'incalzare degli impegni. Da qui gli enormi problemi nell'assemblare la squadra da parte di Gasperini e Ranieri, anche se il tecnico romano finora è parso più realista del predecessore, provando a rischiare il minimo indispensabile e optando per assetti poco spregiudicati, come nell'ultima uscita a Lille.
Non c'è ancora la brillantezza, dunque bisogna giocare più in difesa, più 'bassi', evitando sbilanciamenti inutili. E' l'unico modo per uscire dal pantano. E ora che nel girone di Champions le cose si sono parecchio aggiustate, l'Inter deve registrarsi in campionato, dove la classifica è la peggiore di sempre. Ci sono sedici squadre prima dei nerazzurri ed è sinceramente troppo, troppo brutto per essere vero. I prossimi tre impegni non si possono fallire, altrimenti la questione si farebbe imbarazzante: Chievo, Atalanta e soprattutto Juventus, nei prossimi dieci giorni, racconteranno altre verità sull'Inter. Che è ancora alla ricerca di se stessa e delle sue gambe perdute, ma a Lille ha fatto intuire di avere ancora del fuoco dentro di sé.
di Andrea Sorrentino; la Repubblica
Lille-INTER 0-1
Una fondamentale boccata d'ossigeno. Ottimo primo tempo, ripresa catenacciara a causa del consueto vuoto di benzina nelle gambe.
lunedì 17 ottobre 2011
Presidente
Caro Massimo, non te lo meriti. Non meriti di sprofondare in disonorevoli cori, in striscioni insultanti, in scioperi del tifo. Non lo merita la tua passione infinita e a volte donchisciottesca, non lo meritano i cinque titoli in cinque anni (sì, cinque e che gli altri si mettano l’anima in pace), non lo merita il triplete, anzi il quintete, non lo meritano tutti i campioni ( e gli allenatori, anche quelli) che hai fatto sfilare a San Siro.
Ma, Massimo, lo sai che finirà così, che quest’Inter che se la deve giocare con Bologna e Lecce è uno scherzo surreale. Che la memoria del tifoso è più volubile di un maggioranza parlamentare. E gli striscioni, gli scioperi, gli insulti arriveranno puntuali. Tu che le contestazioni, fossero contro giocatori-mister-nemici-arbitri, te le sei sempre risparmiate.
Perché Massimo, a noi fin qui devoti nerazzurri, devi dire la verità: non ti puoi nascondere dietro fair play finanziari o l’Inter-che-punta-sui-giovani. Devi dirci se i soldi sono finiti. Se la tua inesauribile adesione alla causa non significhi più inesauribile disponibilità. Se i Gasperini o i senatori dello spogliatoio che-ti-darebbero-gli-ordini sono alibi. Ricapitoliamo velocemente: avevamo puntato subito sull’erede di Leonardo. Inchiodato dal destino, il vice Mou che prova a fare il Mou, sulla panchina dell’Inter si doveva sedere Villas Boas. Quindici milioni per liberarlo. Troppi. E poi è andata come è andata.
Secondo capitolo, campagna acquisti: un’Inter come quella dell’anno scorso, una rincorsa col fiatone sul Milan e una disonorevole eliminazione col carneade Schalke 04, andava rifondata. Un forte difensore centrale, due centrocampisti di livello europeo, una punta coi fiocchi. Bale? Mascherano? Aguero? Sanchez? No, costavano troppo. Quindi Alvarez, Jonathan, Forlan, Zarate.
Caro Massimo, qualcuno dirà: nei giorni del tuo regno, l’Inter (e gli interisti) simil tempi cupi li han già visti. No, al netto di calciopoli varie e di squadre mal assemblate, no, simil tempi cupi, almeno negli ultimi 15 anni, non li abbiamo visti mai. Perché prima di diventare campioni a giugno, eravam sempre campioni d’estate. Le nostre formazioni balneari avevano già vinto lo scudetto ad agosto.
Nel (finora terribile) campionato di grazia 2011-2012, l’Inter non è mai stata competitiva, perché non lo era ancor prima di cominciare. La storia del “progetto in divenire” (sempre che ci sia) non funziona, l’Inter non sarà mai l’Udinese, l’Inter deve vincere subito. Se l’era del calcio al petroldollaro non cambia, vendi dunque agli arabi Massimo, finché sei in tempo. O dicci la verità. Perché, qui a Milano, il derby col Monza lo ha giocato una sola squadra.
di Matteo Cruccu; IL CORRIERE DELLA SERA
domenica 16 ottobre 2011
Finalmente Toro
Ventisei punti: record assoluto in serie B dopo 10 giornate (8 vittorie e 2 pareggi, solo la Juventus 2006-07 aveva tenuto un passo così, ma di punti ne aveva 17 per la penalizzazione di 9 punti dovuta a Calciopoli). Torino unica squadra imbattuta della B. Cinque successi consecutivi: il Toro non ci riusciva dalla stagione 2005-06 con De Biasi in panchina. Cinque vittorie esterne consecutive: è la prima volta per il Torino dal ‘29 in avanti (girone unico), l’unico precedente è del 1915. Appena 5 gol al passivo: miglior difesa del campionato. Basterebbero questi numeri per fotografare lo splendido momento della formazione granata. Ma le cifre non spiegano la grande forza di carattere di una squadra che ha saputo assorbire anche lo shock emotivo dell’incidente automobilistico che li ha coinvolti domenica scorsa. Gli occhi di questi ragazzi hanno visto la morte atroce di loro coetanei e certe immagini non si dimenticano. Alcuni hanno reagito più di altri, tutti ne hanno sofferto. Per questo motivo la vittoria su una squadra solida e ben organizzata come la Juve Stabia ha un altissimo valore. Testimonianza della qualità dei giocatori, ma anche del loro spessore umano. Alla fine Torino-Juve Stabia 1-0: fuga in classifica con un tuffo nel cuore.
di Paolo De Paola; TUTTOSPORT
domenica 9 ottobre 2011
Utopia(?)
Una partita di calcio senza arbitri, splendida utopia. In Italia ci stiamo
provando, cominciando con i bambini piccoli. Con i Pulcini, mini atleti tra gli
8 e i 10 anni. L’iniziativa è del Settore Giovanile e Scolastico della
Federcalcio che presiedo. Non voglio, però, prendermi meriti che non ho. Il
progetto parte da lontano, io ne ho solo accelerato l’attuazione. Per avere un
calcio dei «grandi» più responsabile, più educato, con meno tensioni in campo,
non ci sono alternative: bisogna cominciare a lavorare su quelli che saranno i
giocatori, i tifosi e magari anche i giornalisti di domani. Responsabilizzarli,
insegnare loro bene le regole, far capire quanto sia difficile decidere in una
frazione di secondo. E allora, ecco l’idea: i Pulcini si arbitrano da soli.
Discutono e decidono. Confortanti i primi test. Io, addirittura, li vorrei
vedere correre dietro al pallone in un campo senza linee. Liberi di trovare il
ruolo e la collocazione più appropriati. Mi accontento, per ora, di abituarli ad
autogestirsi le partite. Se i genitori li lasceranno fare, cresceranno più in
fretta. Non solo come sportivi. Avremo persone migliori. E un calcio più bello.
di Gianni Rivera; LA STAMPA
sabato 8 ottobre 2011
giovedì 6 ottobre 2011
Il cafone di Bari Vecchia
Il codice etico che dovrebbe sovrintendere al comportamento dei calciatori in
Nazionale forse è salvo ma quanto è successo ieri dimostra che la gestione di
Cassano da parte del ct e della Federcalcio è discutibile. Il barese, che al
Milan tiene le orecchie basse perché è un oggetto decorativo da esibire solo
quando gli altri stanno in riparazione, a Coverciano rispolvera atteggiamenti da
ras del quartiere. Ieri senza alcun motivo ha insultato e offeso pesantemente un
giornalista che, a suo dire, stava troppo vicino al bar dove lui si
trovava.
La storia è finita con le scuse del giocatore, anche perché si dice che Prandelli abbia minacciato di tenerlo fuori squadra se non le avesse porte, ma a Cassano è consentito un atteggiamento che altri non possono permettersi. Se bastano le scuse forzate per evitare sanzioni, suggeriamo agli altri azzurri di tenerne sempre qualcuna a portata di mano. Dopodiché facciano cosa vogliono.
La storia è finita con le scuse del giocatore, anche perché si dice che Prandelli abbia minacciato di tenerlo fuori squadra se non le avesse porte, ma a Cassano è consentito un atteggiamento che altri non possono permettersi. Se bastano le scuse forzate per evitare sanzioni, suggeriamo agli altri azzurri di tenerne sempre qualcuna a portata di mano. Dopodiché facciano cosa vogliono.
di Marco Ansaldo; LA STAMPA
domenica 2 ottobre 2011
INTER-Napoli 0-3
Arbitro di merda. Di nuovo Gianluca Rocchi di Firenze... quello del derby di ritorno del 2009-2010. Si vede che i lavori sporchi gli piacciono.
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