sabato 12 novembre 2011

SuperMario

La pecora nera, come gufava il ct nemico Smuda, ha trovato invece il tocco del fenomeno, annerendo l’arena di Wroclaw. Magari ha solo fatto il promo sul palcoscenico dei prossimi Europei, dove vuole arrivare da star. «E se continua a giocare così, diventerà uno decisivo», sorride alla fine Cesare Prandelli.
Ecco a voi Mario Balotelli: freccette, petardi e gol, sempre più spesso. Mica può essere una rete normale: la prima in Nazionale, al sesto tentativo. La prima di un giocatore di colore nell’Italia. Il nostro piccolo Obama. Uno che ha già iniziato a far cambiare le cose. Per esempio ammutolendo lo stadio dove dentro c’erano una decina di Ultrà Italia, quello stesso gruppo che, un anno fa, lo fischiò a Klagenfurt. «Non ci sono negri italiani», era stato il simpatico gingle. Altroché: ci sono, giocano, segnano, e ti fanno vincere le partite. Pure per questo il ct esce dagli spogliatoi con il sorrisone: «Complimenti a Mario e alla squadra, è stata un’ottima partita. Sono soddisfatto perché, al di là del gol, lui è sempre stato in partita, facendo quello che gli è stato chiesto». Giocare.

Perché sempre io? D’ora in poi SuperMario potrà infilarsi sempre quella maglietta, ma non per le boiate che combina, anche se lui dice son cose divertenti, ma per le reti segnate. Prenditi l’Italia, gli aveva chiesto Prandelli, e così è stato. Con i suoi tempi, però. Con le sue liturgie. Avvio lento, quasi da scontroso. Da incavolato con il mondo. Anzi, orribile. Due palloni toccati e due falli, fatti. Un paio di scatti, e tutti giù per terra, scivolando. Pareva una serataccia. Unico avvistamento dopo 23 minuti, con un colpo di testa alto. Per sbucare nella partita gli ci vuole mezz’oretta. Prima l’assaggio: dribbling e tentativo di tiro a giro, un po’ scolastico. Dopo qualche secondo è già docente. Controllo sulla frontiera dei 25 metri, un’occhiata al portiere, pericolosamente sul pianerottolo, e dolce fiondata sotto la traversa. Il pallone cala alle spalle del polacco accarezzando la rete. Quasi irridente, da nemico di Premier Laegue, visto che il povero Szezesny di mestiere fa il guardiaporta dell’Arsenal.

Tant’è bello il colpo che per qualche minuto, in tribuna, ci si chiede se quell’infernale parabola non sia frutto di qualche complice deviazione: macché, è tutta roba di Balotelli. Però al gol bisognerebbe esplodere, invece lui implode. Se ne sta fermo, porta un pezzo di maglietta alla bocca e niente. Sono gli altri che gli corrono addosso, e lo sommergono. Fa più rumore il silenzio del pubblico, ammutolito. Perché c’è qualche fischio, più polacco che degli Ultrà Italia. Ma stavolta il razzismo non c’entra: è la rabbia che lanci sempre contro il più forte, quello che ti ha battuto. Gli avversari e gli incivili. SuperMario starà muto pure quand’è finita, filando sul pullman con il berretto azzurro calato sugli occhi. Come dire: niente parole ai posteri, basta e avanza la conferenza dell’altro giorno.

Poi però non è che il bad boy s’è fatto boy scout. Prendi l’avvio di ripresa: abbattuto con una spallata da Murawski, Balotelli alza la gamba per agganciarlo, e un po’ ci riesce. Nulla di irreparabile, un po’ da bulletto però sì. Non sarebbe lui. Da protagonista dell’Europeo, chiede un polacco. Prandelli sorride: «Lo speriamo tutti».

di Massimiliano Nerozzi; LA STAMPA

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