Napoli, sull'aereo che rulla sulla pista di Capodichino tre leggende del calcio Mondiale discutono animatamente. Burgnich, il granitico Tarcisio dell'Inter euromondiale degli anni Sessanta è il più accanito. "Possiamo vincerlo ancora, oggi abbiamo giocato proprio bene, dipende solo da noi", incita il difensore nerazzurro. Vicino, siede Sandrino Mazzola, figlio del mitico Valentino granata, bandiera e capitano del Biscione. Proprio davanti c'è Facchetti, l'altro terzino delle Coppecampioni e Intercontinentali, il primo difensore capace di segnare come un bomber. Tutti reduci da una sconfitta, bruciante, al San Paolo con il Napoli di Juliano, Zoff e Altafini. E da un tremebondo inizio di torneo che è già costato la panchina al difficile Heriberto Herrera.
E' il tardo pomeriggio del 22 novembre 1970 quando l'aeroplano decolla, direzione Milano. La discussione si infervora. "A un certo punto io mi convinco - racconta a "Repubblica" Mazzola, custode di tutti i segreti della Grande Rimonta nel campionato '70-'71 di cui ricorre adesso il quarantesimo anniversario - e scuoto il sedile di Giacinto per coinvolgerlo. Passano pochi minuti e ci ritroviamo a far calcoli: io tiro fuori un opuscoletto con tutte le giornate ancora da disputare e cominciamo a fare la famosa tabella". Che poi sarebbe? "Assegnare, partita per partita, i punti possibili a Napoli e Milan, che ci precedono e... a noi stessi. Beh, viene fuori che alla fine vinciamo noi se rispettiamo la tabella".
Così, letteralmente per aria, nasce la ferrea volontà di cucirsi addosso l'undicesimo scudetto. "Tutti e tre, i vecchi della Grande Inter ci alziamo e andiamo dal presidente Ivanhoe Fraizzoli. Lui, abbatuttissimo, seduto da solo nella parte finale dell'aereo, ci rinvia al mittente parlando milanese stretto: "Scudetto? Figlioli miei andate, andate su, che fantasia figlioli miei, ma di che parliamo? Siamo a 7 punti dal Napoli e a 6 dal Milan, ma va là, dai". Comprensibile, ma noi ci crediamo e in questo sport se ci credi davvero sei a metà dell'opera".
Alessandro Mazzola ha voglia di raccontare. I suoi ricordi, 40 anni dopo, sono ancora vividi. "Fu un'impresa, l'ultima della Grande Inter, e ne sono tuttora fiero". Nessuna presunzione. Ha ragione: nell'epoca del campionato a 16 squadre e dei (soli) 2 punti per una vittoria, l'Inter seppe rimontare a partire dalla ottava giornata tutto il vantaggio accumulato dalle due squadre che la precedevano per andare a vincere, addirittura, con un distacco di 4 punti. "Già, da quel giorno non perdiamo più, le vinciamo quasi tutte, se non sbaglio concediamo solo tre pareggi, di cui due alla fine, a cose fatte, il tricolore è nostro, ma ci sono altri retroscena".
Sandrino non si fa pregare. "Dunque, al timone non c'è più Heriberto Herrera ma Gianni Invernizzi e l'atmosfera nello spogliatoio si è rasserenata. Povero Heriberto, era un ottimo allenatore, profeta di un calcio moderno, così moderno, il movimiento (come diceva lui) senza palla, che noi non lo capivamo. E poi il carattere era difficile, chiuso, introverso. Con Gianni, invece, tutta un'altra musica. Per prima cosa rimette in squadra tre giocatori che Heriberto aveva fatto fuori, tutti fortissimi, Gianfranco Bedin, Jair da Costa e Mario Bertini, se non ricordo male. Nasce la tabella e a questa aggiungiamo una scaramanzia: un prete".
"Il mio prete - prosegue divertito Mazzola - perché era stato professore alla scuola Armando Diaz dove ero andato e in seguito avrebbe anche celebrato le mie nozze. Si chiamava monsignor Spada, da ragazzini lo avevamo soprannominato Don Bomba: era alto e grosso, con un bel vocione e abitava vicino al Duomo. Una sera, visto che Invernizzi aveva l'abitudine di riunirci il venerdì per cena in un ristorante della zona, proposi di andare a trovarlo. Lui ci accolse e ci ordinò di confessarci: "Siete biricchini voi giovani calciatori e se volete vincere dovete dire tutto al Signore". Insomma, la domenica seguente si vinse e per tutto il campionato Don Bomba fu, assieme, il nostro confessore e il nostro talismano".
E arrviamo alle sfide di ritorno con le grandi rivali. Il Milan e il Napoli. "Il derby è cruciale. Siamo molto tesi. Niente affatto sicuri di vincere. Risultato obbligato, per noi. E la gara resta così, quasi sospesa, finché il geniale sinistro di Mariolino Corso su punizione, la sua specialità, non ci porta in vantaggio. Poi chiudo io la gara su azione di Jair da Costa, contropiede veloce, delizioso cross per Roberto Boninsegna che colpisce di testa e prende il palo oppure ci arriva Fabio Cudicini, comunque sia io ribatto in rete. Due a zero, ma sappiamo che non è finita lì".
Altro match fondamentale per completare il sorpasso e lasciarsi definitivamente dietro rossoneri e azzurri è la gara con il Napoli. Si gioca a San Siro, il 21 marzo 1971. E lì ne accadono di tutti i colori. Mazzola, 40 anni dopo, con il sorriso sotto i celebri baffi, svela un suo clamoroso blitz: "Feci una cosa che non si può fare, proibita dal regolamento. Una cosa sbagliata. Irruppi nello spogliatoio dell'arbitro e gliene dissi quattro. Ma non volevo ottenere favori. Piuttosto intendevo riequilibrare una conduzione di gara a noi assolutamente sfavorevole". E' il suo punto di vista. Che contiene comunque un'ammissione.
Il suo racconto: "Il Napoli è avversario tosto, forte e quadrato. Con giocatori di classe cristallina come Dino Zoff in porta, Totonno Juliano a centrocampo, Josè Altafini in attacco. Sta disputando un grandissimo torneo. E' in corsa. E se la gioca. Va in vantaggio con Altafini che riprende una respinta di Lido Vieri. Subito dopo l'arbitro, l'internazionale Sergio Gonella, ci butta fuori Burgnich per un fallo su Umile. Decisione che secondo noi non ci sta. Protestiamo, in quei primi 45 minuti ci sentiamo presi di mira dal direttore di gara e non ci va giù". Sotto di un gol e in dieci contro undici, l'Inter vede svanire la Grande Rimonta. Ma attenti al colpo di teatro. "Finito il primo tempo, mentre i compagni sono nello spogliatoio, io mi dirigo in quello dell'arbitro Gonella. Entro come una furia e lo aggredisco verbalmente. Rammento di avergli detto che non poteva arbitrare in quel mondo, che ci stava penalizzando gravemente e di aver usato qualche espressione colorita il cui senso era: o si dà una regolata o da San Siro usciamo tutti fritti, finisce male: noi, perché perdiamo partita e scudetto e lei, perché con il suo arbitraggio sarà stato il principale responsabile della sconfitta. Gonella è esterrefatto, mi dice qualcosa del tipo: "Mazzola, esca immediatamente da qui, ma cosa fa, come diavolo si permette?". Mi guarda assolutamente sconcertato e ha ragione...".
Secondo tempo. Cambia tutto. L'Inter attacca a testa bassa e dopo neppure dieci minuti ottiene un rigore. Contestatissimo a dir poco, anche 40 anni dopo: un (ipotetico) fallo di ostruzione in area di Panzanato che protegge l'uscita di Zoff proprio dall'arrivo di Mazzola. Per giunta, Boninsegna lo realizza fermandosi platealmente nella rincorsa. Altafini mima la scena con Gonella chiedendogli almeno di far ripetere il penalty. Nulla da fare. A quel punto il Napoli perde la testa e la partita. Zoff, innervosito, compie una delle sue rarissime papere non trattenendo un colpo di testa in acrobazia sempre di Boninsegna che quasi si spacca una tempia mentre il difensore Panzanato cerca un plastico rinvio. Inter 2, Napoli 1. Lo scudetto prende una sola strada e non porta a Sud.
Mazzola ammette, ma non ammaina la bandiera dell'orgoglio interista: "Col senno di poi, probabilmente, misi addosso un tale senso di colpa a Gonella che finii per condizionare il suo arbitraggio. Sinceramente penso che alla fine avremmo vinto lo stesso: in quella squadra c'erano sei o sette giocatori dell'Inter che aveva dominato il mondo. E poi ragazzi del calibro di Mauro Bellugi, Mario Giubertoni, Vieri, Bertini, un regista dai piedi buoni come Mario Frustalupi e quel gran goleador acrobata che era Bonimba Boninsegna. Per non parlare di due "bambini" che avrebbero fatto tanta strada: Ivano Bordon e Gabriele Oriali. Tanta roba, insomma. Giocatori tecnici e dal carattere indomito, altrimenti non avremmo firmato quella strepitosa rimonta. Era una corsa a tre, noi, il Napoli e il Milan. Curioso, proprio come adesso...".
di Giovanni Marino; la Repubblica
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