lunedì 28 febbraio 2011

Sampdoria-INTER 0-2

Partita combattuta e vittoria meritata, ottenuta contro la squadra più sportiva del campionato.

domenica 20 febbraio 2011

Il circolo vizioso

Dio deve pensare che sono un tipo fantastico, altrimenti non mi avrebbe concesso tanto.
Josè Mourinho

INTER-Cagliari 1-0

Va bene, ma nel finale si è rischiato troppo. Ora, in Champions, ci aspetta il Bayern Monaco... che mi dice qualcosa.

giovedì 17 febbraio 2011

Il teorema del rischio

L'Inter è lì. La rimonta, o "remontada", di fatto è compiuta. Non del tutto, perché il Milan è ancora a 5 punti di distanza, ma in fondo lo si può dire: missione compiuta, l'Inter è tornata nel gruppo delle prime e ora può lanciare la volata. Basta fare due conti. Il 6 gennaio scorso, prima partita dell'era-Leonardo, lo svantaggio interista dal Milan capolista era di 13 punti, anche se i nerazzurri dovevano recuperare due partite non facili contro Cesena e Fiorentina. Quarantadue giorni e dieci partite dopo, l'Inter si è riallineata alle altre nelle partite giocate ed è a -5 dal Milan, terza in classifica, in piena lotta per il titolo.

E' stata una corsa a perdifiato, rischiando il tutto per tutto in ogni gara. Dieci partite con otto vittorie e due sconfitte, entrambe urticanti, contro Udinese e Juventus: incidenti di percorso o inevitabili pause, dopo tanto correre. Ma l'importante era andare avanti. Del resto non pareggia una partita dal 10 novembre scorso (Lecce-Inter 1-1), perché dopo aver accumulato un cospicuo ritardo in classifica non poteva più far calcoli. E nessuno calcolo c'è stato nella rincorsa di Leonardo, che ha mandato all'attacco la squadra in tutte le partite, tranne quando è stata costretta dagli avversari a rintanarsi (e infatti sono arrivate le sconfitte di Udine e Torino). Molti gol segnati in queste dieci partite (26) e parecchi incassati (15), raccontano che Inter è quella della rincorsa: è ora la squadra con il miglior attacco della serie A (46 gol) ma appena la nona difesa: i 29 gol incassati sono 10 più del Milan capolista. Perché l'Inter di questa pazza stagione ha ora davanti un altro record da battere, o un dato statistico da smentire: di solito, in serie A, lo scudetto va alla squadra con la miglior difesa, o con una delle migliori difese. L'Inter di quest'anno non potrà avere la miglior difesa di tutte, ormai è chiaro. Quindi deve andare alla ricerca di equilibri difficilissimi da raggiungere, se vorrà completare la rincorsa al Milan. Quindi qualcuno asupica che nelle prossime partite, se le distanze col Milan dovessero ulteriormente accorciarsi, Leonardo possa mandare in campo una squadra più equilibrata, più attenta nei ripiegamenti, e magari il ritorno di Lucio al centro della difesa potrà essere utile.

Ma il tecnico non sembra essere di questo avviso, ormai ha lanciato la sfida ed è una sfida ai numeri del nostro campionato, alla sua stessa natura, o forse a un luogo comune: in serie A vince chi si protegge meglio le spalle. L'Inter di Leonardo, l'Inter brasiliana e zemaniana nella sua concezione, vuole invece capovolgere il mondo. Sarà un percorso accidentato e irto di pericoli, ma pare che Leonardo voglia andare avanti sulla sua strada. "Io sono così e non cambio", ha fatto già sapere lui. Fino in fondo così, dunque, rischiando tutto, rischiando sempre. Finora il gioco ha pagato: la media punti di Leonardo è stata di 2,40 punti a partita. Con Benitez erano appena 1,53. Il rischio paga.
 
di Andrea Sorrentino; la Repubblica

Fiorentina-INTER 1-2

Ora che i recuperi sono stati recuperati, ci troviamo nella scia del Milan, distaccati di 5 punti. Forza!!!

martedì 15 febbraio 2011

Il Fenomeno che non c'è più

Ci sono notizie che precedono di molto il proprio annuncio. L’addio di Ronaldo al calcio è una di queste: per noi si era perso da almeno quattro anni, non c’era bisogno della conferenza stampa nella sede del Corinthians per sapere che era diventato un ex.

Lo ha detto tra le lacrime. C’è sempre stato qualcosa di tragico nel suo personaggio. Non ricordiamo un campione che abbia dovuto lottare con tanta follia contro il proprio fisico. Madre Natura lo ha dotato di qualità che, se non ne hanno fatto il centravanti più forte di tutti i tempi, come dice Moratti che per lui stravedeva, lo hanno reso un attaccante molto speciale: quando ti scappava sullo scatto non lo raggiungevi più, e non solo perché aveva una coordinazione straordinaria nel controllare la palla, ma perché era, muscolarmente, veloce. A Parigi, al Parco dei Principi, nella finale di Coppa Uefa contro la Lazio, partì da metà campo e arrivò davanti a Marchegiani, il portiere, ancora con la forza e la lucidità per metterlo a sedere con una serie infinita di finte. Il gol, come altri tra le centinaia che ha segnato, resterà per sempre nelle teche per la sua bellezza più che per l’importanza. Eppure il fisico è stato la sua maledizione.

A 24 anni aveva già un ginocchio in briciole, con due interventi al tendine che lo bloccarono per due stagioni, e molti pensavano che non si sarebbe più ripreso. Un medico ci rivelò che Ronaldo aveva una malformazione al ginocchio mai indagata da bambino per cui quel tendine restava come una corda di violino perennemente tesa e pronta a spezzarsi a ogni accelerazione. Un guaio quasi insanabile per un atleta che aveva nella potenza l’arma più terribile. Ci passò sopra, non si fermò. Ma il fisico gli tese altri cento agguati, alcuni misteriosi. Sempre a Parigi, per la finale di Coppa del Mondo che consacrò Zidane, sul foglio con le formazioni, a meno di un’ora dall’inizio, non appariva il suo nome. Comparve in un secondo tempo e si diffusero illazioni di ogni tipo attorno alle voci di un attacco epilettico. Tutto gli ha giocato contro: i muscoli di cristallo, le articolazioni d’argilla, e il peso difficile da tenere a bada, per colpa di una disfunzione alla tiroide, ha spiegato ieri, ma anche per le troppe birre e uno stile di vita che progressivamente cedeva ai piaceri negati nell’adolescenza a un ragazzo che a 18 anni era già un protagonista in Europa e a 20 una «star».

Negli ultimi anni lo chiamavamo «Sua Grassezza», e non era una definizione esagerata. Ronaldo è stato grandissimo: ha vinto due Mondiali e due «Pallone d’Oro», per tre volte l’hanno giudicato il miglior calciatore del mondo, ha giocato nel Barcellona e nel Real Madrid dei «Galacticos», nell’Inter e nel Milan, anche se quando lo prese Berlusconi era ormai un convalescente cronico, più in infermeria che in campo. A cavallo del nuovo millennio non c’era nessuno come lui, quando era sano. Eppure resta la sensazione di incompiutezza. Ronaldo avrebbe potuto offrire e ottenere di più. A noi italiani, in fondo, restano impresse soprattutto le sue sfortune. Il rigore che non gli fischiarono contro la Juve nel primo anno in cui poteva vincere il campionato; le urla per il ginocchio spezzato senza il minimo contrasto all’Olimpico di Roma; le lacrime con cui si congedò dall’Inter in quel 5 maggio in cui gettò alle ortiche il più incredibile degli scudetti. Grande e tragico. Già disperso nella memoria. All’annuncio dell’addio al calcio molti si saranno sorpresi che giocasse ancora.

di Marco Ansaldo; LA STAMPA

Qua la Zampa

L'excusatio non petita gli è venuta dal cuore e dai polmoni: "Non sono pazzo!", ha gridato Zamparinic. Non lo è, ma lo fa. Anche in questo campionato 2010-2011 guida la classifica dei presidenti da legare. Non è soltanto l'uomo della domenica, dopo lo sfogo contro l'allenatore, è quello di tutte le sante settimane. Quando il Palermo vince è merito suo, quando perde è colpa di Delio Rossi. Che una volta è "uno dei migliori tecnici d'Europa", un'altra "deve imparare ad ascoltare", "non conosce la fase difensiva" e, peggio di tutto, "come i suoi colleghi, si crede un'icona". Non l'ha ancora esonerato e non l'ha ancora riassunto, come gli piaceva fare (rivolgersi a Guidolin e agli altri 27 ex). Con lui (amato e difeso dalla città) il rapporto sadomaso si è fatto più intenso: una frustata e una carezza dopo ogni partita. Anche se Zamparinic non la vede mai, non in diretta. Per non irritarsi passeggia in una delle sue tenute, dialoga con il pappagallo e aspetta il resoconto del vice Micciché. Sulla base del quale esterna a caldo, poi si vede la registrazione e riesterna a freddo.

È una stagione alla grande, la sua. Scandita, come si conviene, da andate e ritorni. Ha lasciato ufficialmente il calcio l'11 novembre scorso, dopo un arbitraggio considerato scandaloso in Milan-Palermo 3 a 1. Ha annunciato l'intenzione con parole chiare: "Smetto, è un mondo di merda!". Poi ha emesso un comunicato più tortuoso da cui si apprendeva che aveva "incaricato un advisor", che i valori sportivi erano "sempre più spariti", che auspicava "gare dove con reciproche garanzie di equità e lealtà possano sempre vincere ad armi pari e i migliori". Intraducibile anche per la Gialappa's. Ma la decisione di mollare restava "netta". Tra virgolette anche nell'originale. A significare: non tanto. Non proprio. Manco morto. Infatti è ancora qui. Nel frattempo ha minacciato di trasferirsi all'estero: una volta in Austria e un'altra in Sicilia (testualmente: "abbandonando l'Italia che tanto prende e poco dà"). Ancor più ferale la minaccia di dedicarsi alla politica, con una lista tutta sua e una posizione ben definita: "né a destra, né a sinistra", "accanto alla Lega, che è il solo partito per la gente", "lontano dalla Lega, perché nel lungo periodo non paga", né con Berlusconi ("ha dato disoccupazione e tolto libertà"), né con Tremonti ("è diventato comunista"). Una specie di tea party, a cui era l'unico invitato.

Un uomo solo al comando. Incompreso. Anche perché: incomprensibile. Quando parla. Quando agisce, l'obiettivo è piuttosto chiaro: fare soldi. Zamparinic è un immigrato al contrario. Friulano, ha gestito il Venezia, ma quando ha capito che non avrebbe potuto costruire lo stadio si è trasferito a Palermo. Dove, ma pensa, vuol costruire lo stadio. Nell'attesa tira su centri commerciali. Quest'anno gli si è accesa la luce dell'Est e compra qualsiasic calciatoric gli capitic: Ilicic (nell'intervallo di una partita di Europa League), Bacinovic, Andelkovic. Alla prima buona prestazione proclama: "Ora vale il triplo!". In effetti è così. Il suo Palermo, va detto, ha un ottimo bilancio, perché poi lui rivende, incassa, ripiana. Certo, a vedere quel che è successo con Cavani (e prima ancora con Toni) l'affare vero lo fa chi compra. Quest'anno ha messo insieme un buon attacco (anzi "ottimissimo") e una difesa che va in nazionale (però "inguardabile"). Voleva la Champions "come minimo". Come massimo: la luna, non fosse, teme, "che ci è già arrivato Lotito".

Appena esce fa un guaio: è andato dai bambini dello Zen e ha litigato con il collega del Palermo Rugby, facendosi querelare. È andato a Benevento e lo volevano arrestare. Va in tv e sbotta come Raimondo Vianello ma senza ironia: "Quelli giocano, e io pago!". Si sente emarginato: "Ho chiamato Nicchi, all'associazione arbitri: si è offeso", "Ho chiamato Beretta in lega: non mi ha risposto". Lo tradiscono anche i presagi: "Mi son svegliato di colpo, ho guardato la sveglia, eran le 3 e 33, ho capito che ne avremmo vinte tre di fila". In hoc signo vinces? Era solo notte fonda: ha perso con la Fiorentina. Si è incupito: lassù qualcuno non lo ama. Fermate il mondo, vuole scendere. Trattando con gli arabi ha scoperto che sono lenti, lentissimi: "Vanno al ritmo della natura, che non è stupido". Ma non rallenta, non può. Rozzi ci ha lasciato, Gaucci è espatriato (lui sì) a Santo Domingo con la badante giovane, Lotito, dopo l'allunaggio, tace. Con la giugulare in fiamme, a far da sponda a Biscardi è rimasto soltanto Zamparinic, prigioniero del ruolo. Non è pazzo. Dice di sé: "Anche Napoleone ha perso qualche battaglia".

di Gabriele Romagnoli; la Repubblica

domenica 13 febbraio 2011

T. Motta

Thiago Motta, centrocampista dell'Inter e ora anche della Nazionale: lei ha amici nel mondo del calcio?
«Vuole la verità? Forse un paio. È colpa mia. Cambio città e non so tenere i contatti con le persone. Non uso né facebook né twitter, odio la tecnologia. Quindi, chi mi cerca non mi trova. Non ho un bel rapporto neppure con il cellulare».

Nessuna eccezione?
«Sì, una c'è. È il mio amico Lionel Messi. È come me, non risponde quasi mai. E quindi non s'arrabbia se sparisco. Mia moglie, invece... Adesso (guarda il telefonino che vibra, ndr) mi sta cercando per sapere se torno a casa a pranzo. Ma che le rispondo a fare? Tra poco torno e così lo vede».

Tranquillo fuori dal campo, un po' meno quando gioca. Si ricorda la lite con Buffon della stagione scorsa?
«Ne abbiamo parlato anche in Nazionale e gli ho chiesto nuovamente scusa. C'era già stato un chiarimento subito dopo la partita ma ho voluto riaffrontare la questione. E' stato simpatico e molto tollerante».

Lei invece si è guadagnato l'appellativo di antipatico.
«Mi frega il fatto di voler vincere sempre. Ero così anche da bambino nonostante i rimproveri di mio padre».

Un ragazzino vivace alla Balotelli?
«Non fino a quel punto... però qualche zuffa l'ho fatta, ho il sangue caldo come mio padre e se perdevo piangevo».

Come l'hanno accolta in azzurro?
«Benissimo, posso catalogarla come una delle esperienze più belle della mia vita».

E di Prandelli cosa pensa?
«Se allena l'Italia vuol dire che è bravo ma a me ha colpito il suo lato umano. È una persona molto calma e sensibile».

Thiago Motta non rientra nei piani del Brasile, ma il cittì della Seleçao, Menezes, ha voluto comunque far sapere di essere contrario ai cambi di nazionalità.
«Rispetto il suo pensiero ma non lo condivido».

Leonardo l'avrebbe convocata.
«Mi sta dando grande fiducia e io spero di ripagarlo. Non lo conoscevo ed è stata una sorpresa. Ci ha fatto ritrovare l'entusiasmo e l'allegria. E poi è completamente diverso da tutti gli altri allenatori che ho avuto, Benitez compreso».

In che senso?
«Sa come gestirci. Quando ci vede stanchi non ha problemi a darci un giorno di riposo senza assilli. Forse salteremo qualche ritiro e mi pare una grande decisione. Si gioca ogni tre giorni e dormire una notte in più a casa aiuta».

Crede al teorema: stress uguale infortuni?
«Sì, giochiamo troppe partite. Non è una questione di età o di usura, si stanno facendo male anche i ragazzini».

Che idea si è fatto del caso Milito?
«Leonardo l'ha mandato in Argentina a riposare e ha fatto bene. Era depresso, non sembrava neppure più lui. Quest'ultimo infortunio è stata una mazzata. Diego ha bisogno di pensare alla sua famiglia e basta. Viene da una stagione straordinaria e da un Mondiale molto impegnativo, la migliore medicina è staccare la spina».

Nel frattempo voi proverete a agganciare il Milan.
«Tutte le squadre hanno un momento di flessione. Noi speriamo che succeda anche al Milan».

Domani sera c'è la Juventus e, a causa di Calciopoli, non è mai una gara come le altre.
«Non bado a queste faccende, per me questa partita vale tre punti come le altre. La Juve si gioca più di noi, ha un disperato bisogno di punti e credo che non abbia abbandonato il sogno scudetto».

Che ne pensa dei giocatori-bandiera alla Del Piero?
«Li ammiro perché hanno sposato una causa. Nel nostro mondo la riconoscenza non esiste ma deve esserci onestà. Se un presidente mi considera finito deve avere il coraggio di dirmelo. Vorrei chiudere la carriera all'Inter e diventare anch'io una bandiera».

Ci dia una prova della sua italianità. Cibo preferito?
«Dovrei dire spaghetti, invece, vado matto per aglio e cipolla. Ma tenga conto che mio suocero è coreano...».

Ha ottenuto il passaporto grazie ai parenti di suo padre.
«Vivono nel Polesine. Presto li andrò a trovare».

Suo padre Roberto cosa pensa della sua scelta di vestire la maglia azzurra?
«È entusiasta».

Cosa le ha detto dopo la partita?
«Non gli ho risposto al telefono. Nel suo caso è una scelta ben precisa. Mi avrebbe criticato come al solito!».

di Laura Bandinelli; LA STAMPA

lunedì 7 febbraio 2011

INTER-Roma 5-3

Grandi fuochi d'artificio in scena al Meazza, mentre il Milan continua a rallentare...

venerdì 4 febbraio 2011

Se questo (non) è un uomo di merda

C'è sempre da imparare. E ce lo hai ricordato, malgrado il malcapitato Rossi.

Bari-INTER 0-3

Una partita vinta, ma non stravinta come parrebbe, grazie alle reti di Kharja, Pazzini e del rientrante Sneijder.