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Cadel era il più esposto nel condannare l'abuso di chimica quando i suoi colleghi sostenevano che ci fosse una macchinazione contro il ciclismo e che il doping non esisteva. Sebbene l'esperienza insegni a non mettere la mano sul fuoco per nessuno, se beccassero Evans con il sangue sporco sarebbe come scoprire che Ronald Reagan era una spia dei russi. «Non mi importa cosa pensano gli altri - ha ribadito Evans vestito finalmente della maglia gialla -. La mia idea è che per l'importanza che ha assunto nella società, chi fa sport debba essere un modello».
Nel senso di un esempio. Nell'altra accezione, Cadel non assomiglia a un modello. Anche se guadagna quasi 2 milioni all'anno, non è patinato, non è mondano, non gioca sullo charme: è uno nato a Katherine, un posto nei Territori del Nord «e se c'è una cosa che mi piace dell'Australia è il senso di libertà con cui ci si vive».
Non significa che sia uno grezzo. Parla quattro lingue, vive in una bella casa a Stabio, appena oltre il confine svizzero, si è sposato con Chiara, che conobbe quando arrivò nel Varesotto una decina di anni fa: una raffinata pianista che gli ha insegnato ad amare anche la musica classica. Le sue battaglie sono per i bambini in Tibet e ne ha adottato uno, è coinvolto nell'associazione di Ian Thorpe per l'integrazione degli aborigeni australiani e in una fondazione per la sicurezza dei ciclisti nelle strade. Ma, per raccontare il tipo, Evans è anche uno che indica tra i 4 ristoranti del mondo in cui gli piace mangiare, la cucina del rifugio Fantoli sull'Alpe Ompio, nel Verbano: «Fanno una polenta con il gorgonzola fantastica. Bisogna fare un bel po' di movimento per smaltirla».
Ci si chiederà cosa c'entri tutto questo con la vittoria nel Tour. C'entra perché lo stile di vita e l'umiltà di Cadel sono parte del suo successo sui fratelli Schleck, saliti sul podio ma sui gradini più bassi e non crediamo che la mega festa prenotata dal loro patron, l'imprenditore lussemburghese Flavio Becca, sia riuscita un granché. Era la sfida tra chi poteva sfilarsi l'etichetta di magnifico perdente, per quanto Evans nel 2009 fosse diventato campione del mondo e se la fosse un po' scollata. Era l'occasione lasciata dal cedimento di Contador sul Galibier. Andy Schleck l'ha affrontata con presunzione: la sua squadra era rimasta a dormire all'Alpe d'Huez e si è presentata a Grenoble senza provare il percorso della crono se non in auto.
Evans invece aveva voluto correre il Giro del Delfinato quasi esclusivamente per testare il circuito e l'aveva rianalizzato in allenamento. «Immaginavo che il Tour si potesse decidere qui».
Partiva con 57 secondi da recuperare al lussemburghese. Gliene ha inferti altri 94: dopo 25 chilometri di corsa c'era già stato il sorpasso e l'incompiuto Andy strusciava la faccia sulla spalla, non si sa se per asciugare il sudore o le prime lacrime.
E' stata una delle più belle crono nella vita di Cadel. In bicicletta sembrava persino più spesso e compatto di quanto sia in realtà, forse perché anche il telaio sembrava parte del suo corpo. «Devo ancora rendermi conto di cosa ho fatto - ha ammesso con una voce più flebile di quanto ci si aspetterebbe -. Dopo essere arrivato secondo due volte non so cosa avrei pensato di me se ci fosse stata una terza: ero già stato vicino a vincere il Giro, la Vuelta e il Tour e qualcosa s'era messo di mezzo. Una caduta, un problema intestinale, un guaio meccanico. Non riuscivo a concretizzare ma non ho mai pensato che questa fosse la mia ultima chance».
Il suo Tour non ha avuto cedimenti. Ha vinto in volata su Contador a Mur de Bretagne, ha sfiorato la maglia gialla per 1" già nella seconda giornata, si è difeso in montagna e attaccato in discesa, ha guidato da solo l'inseguimento a Schleck nel tappone del Galibier contenendo i danni (ed è stata la sua impresa decisiva), ha riportato il gruppo su Andy e Contador all'inizio dell'Alpe d'Huez. Un pitbull inschiodabile.
«E' la consacrazione di un campione e il simbolo dell'internazionalizzazione del ciclismo, visto che nessun australiano aveva mai vinto il Tour», ha chiosato Christian Prudhomme, il direttore. Aldo Sassi, il suo preparatore al Centro Mapei di Castellanza, gliel'aveva pronosticato: «Cadel, mi diceva, sei un corridore completo e pronto per vincere il Tour». Sassi è morto di cancro l'anno scorso. Ricordando le sue parole, Evans ha avuto l'unico cedimento in 3 settimane: gli si è rotta la voce, gli sono spuntate le lacrime. Calde e tenere. Ora di perdenti di successo rimane Andy. L'anno scorso per superare la depressione per la sconfitta contro Contador si ritirò a pescare nel suo stagno. Gli hanno riallestito il capanno e controllato le lenze.
di Marco Ansaldo; LA STAMPA
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