martedì 3 agosto 2010

Era ora

Sulle macerie del Mondiale, è fiorito improvvisamente un giardino: Roberto Baggio e Gianni Rivera lavoreranno in Federazione. Domani la ratifica del gran consiglio.

Baggio guiderà il Settore tecnico della Federazione. La proposta reca la firma del presidente Abete, uscito con il carisma rotto dall’avventura africana. Baggio, 43 anni, non ha bisogno di sviolinate. Anche se Michel Platini lo definì un «nove e mezzo» (traduzione: metà centravanti, metà rifinitore), Roberto abitava al numero «dieci». Fantasia, magie, 205 gol in serie A: e quel codino che sarebbe diventato un documento d’identità, un simbolo di diversità. Chi scrive, è sempre stato favorevole all’impiego degli ex calciatori nei ranghi dirigenziali. Penso allo stesso Platini, dal 2007 presidente dell’Uefa, e allo spagnolo Villar, mediano dell’Athletic Bilbao, dal 1988 presidente della Federazione spagnola. Per tacere di Franz Beckenbauer e Karl Heinz Rummenigge, una vita nel Bayern, prima in campo e poi in ufficio. Non è detto che chi ha giocato sappia per forza inventarsi precettore o tutore d’alto livello. Proviamoci, però.

Baggio, dunque. Uno strepitoso inviato che si è sempre rifiutato di fare il direttore: gli piaceva il brivido del gol, non l’ebbrezza del comando; una carriera così. Certo, il ruolo non è ben chiaro («Non l’ho capito manco io», allegria). Certo, siamo in Italia, Paese facile alle suggestioni: tutti sul carro dopo il trionfo di Berlino, tutti giù dopo il tonfo di Johannesburg. In questi casi, si cercano soluzioni a effetto nella speranza che si rivelino efficaci. Baggio è sempre stato un solista e un solitario, ha avuto ginocchia troppo fragili perché il carattere non diventasse forte e sospettoso. Un buddhista col fucile.

E non solo Roberto, anche Gianni Rivera, classe 1943, un altro signor dieci, molto impegnato in politica, anti sistema da capitano del Milan e anti Berlusconi da onorevole: gli è stato promesso il comparto giovanile e scolastico. Da un eccesso all’altro, in perfetto italian style: tutto a un tratto, sta nascendo una nazionale che fiancheggerà la Nazionale. Di Demetrio Albertini vice presidente e referente, si sapeva; idem di Gigi Riva, team manager degli azzurri; e pure di Cesare Prandelli al posto di Marcello Lippi, visto che l’annuncio risale addirittura alla vigilia del Mondiale. Non si poteva nemmeno lontanamente immaginare, viceversa, cosa il destino avesse in serbo per Baggio e Rivera; o per Antonio Cabrini, osservatore al servizio del ct, e Giancarlo Antognoni, «dieci» pure lui, in ballottaggio con Arrigo Sacchi e Paolo Maldini per il ruolo di coordinatore tecnico delle squadre nazionali.

Voce dal fondo: troppa grazia, sant’Abete. Il calcio ai calciatori, chi lo avrebbe mai detto? Il rischio è che tutto sia nato per emozione e non mozione, per distrarre il popolo e non per attrarre i problemi; e risolverli. La speranza è che, dal momento che qualcuno si muove, qualcosa possa finalmente cambiare. Al di là dei risultati nudi e crudi. Baggio & Rivera, non Baggio o Rivera. Capisco la «gelosia» di Sandro Mazzola: abbasso la staffetta.

di Roberto Beccantini; LA STAMPA

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